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Kerry: a Parigi nessun accordo vincolante. Fabius: voglio chiarezza

Clima. A Parigi il rebus delle regole e degli incentivi

di Luca Gaballo

"Da Parigi non uscirà un trattato e neppure un protocollo giuridicamente vincolante", spiega il segretario di Stato John Kerry al Financial Times, "non vi saranno meccanismi legalmente vincolanti che imporranno ad un paese o ad un altro di tagliare le emissioni" dice Kerry, portando alla luce lo scontro dietro le quinte, che, evidentemente, è alla base della difficoltà di concordare un documento comune a poche settimane dall'inizio della Conferenza di Parigi sul cambio climatico. Ma lo scontro è più retorico che di sostanza"Ho ascoltato il mio amico Kerry e bisogna che le cose siano ben chiare", ribatte il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius che poi però le rende, se possibile, ancor più sfumate. "Si può discutere sulla natura giuridica dell'accordo", ammette, "ma questo accordo dovrà avere effetti pratici". Nessuno del resto lo nega. Il punto è un altro, e cioé se questi effetti pratici arriveranno da meccanismi giuridici vincolanti o da incentivi ad adottare tecnologie verdi nella generazione e conservazione dell'energia, nei trasporti e soprattutto nell'industria manifatturiera, un tema questo, che sta molto a cuore non solo agli Stati Uniti ma anche alla Cina.

Il re è nudo
L'impressione è che le parole di John Kerry non sorprendano nessuno né siano affatto in contrasto con il lavoro fin qui svolto dai negoziatori per garantire alla conferenza sul clima che si apre a Parigi il prossimo 30 Novembre quel successo che sfuggì a Copenhagen nel 2009. Il portavoce della Commissione Europea mercoledì ha ribadito che molti paesi preferirebbero un sistema di regole e di sanzioni, del resto questa è storicamente la posizione europea, ispirata soprattutto dalla Germania. Non si vede però come il vecchio continente potrebbe riuscire ad imporre la sua visione oggi a 7 anni dal fiasco di Copenhagen, in un mondo profondamente mutato ed in cui sono i paesi emergenti a produrre la maggiore fetta di emissioni inquinanti. Pesa anche lo scandalo Volkswagen, nato nel cuore d'Europa, che sembra fatto apposta per screditare un sistema fatto di regole, test e sanzioni

La tattica negoziale di Parigi
I francesi, del resto, si sono mossi in maniera molto diversa da come gestirono il summit i Danesi nel 2009. All'epoca, a costituire il benchmark per la trattativa furono le valutazioni delle Nazioni Unite, basate sul parere dei maggiori scienziati climatici, in quali indicarono cosa andava fatto per contenere entro i 2 gradi celsius il riscaldamento del pianeta in modo da evitare effetti catastrofici. Stavolta la presidenza francese ha proceduto al contrario, chiedendo, cioé, a tutti i paesi, di presentare delle "pledges" degli "impegni" volontari di riduzione delle emissioni. La sommatoria di queste "pledges" costituisce Il punto di riferimento di ogni discussione. L'ONU, nel suo ultimo rapporto, riconosce lo sforzo ma chiarisce che esso non è sufficiente. Se anche tutti i paesi rispettassero gli impegni presi la terra non riuscirebbe a contenere l'aumento della temperatura entro il limite auspicato. Se è vero che la presidenza francese vuole assolutamente evitare un fallimento come quello di Copenhage è altrettanto chiaro che il tentativo di imporre un trattato o meccanismo vincolante su queste basi rischierebbe di spaccare la comunità internazionale senza cogliere l'obiettivo di temperare il riscaldamento del pianeta. 

Verde conviene
Sul sito del wwf si trova da oggi un web calcolatore in grado di dirci immediatamente quale sarà il ritorno economico di un investimento nelle energie rinnovabili. E non è solo un gioco. 
"Ormai negli Stati Uniti ci sono quattro posti di lavoro nelle energie rinnovabili per ognuno nella produzione di energia da combustibili fossili" dice John Kerry al Financial Times, questa è la chiave che garantisce, secondo il segretario di Stato, che gli Stati Uniti non tradiranno gli impegni presi, neppure se una amministrazione repubblicana dovesse sostituire quella di Obama. Viceversa, sarebbe molto più complicato, per un presidente a fine mandato, ottenere il si del Congresso ad un accordo giuridico vincolante. Insomma se da una parte il fallimento è certo dall'altra le opportunità esistono. Kerry ha fatto capire, nell'intervista, che "il presidente riuscirà sempre ad ottenere dal Congresso i fondi necessari per gli incentivi all'economia verde". L'altro protagonista è la Cina.

A Copenhagen Pechino sedeva sulla riva del fiume, ed ha visto passare senza neppure alzare lo sguardo il cadavere del protocollo di Kyoto. Paese ancora in via di sviluppo, deciso a non assumersi alcuna responsabilità morale globale, ma semmai pronta a rivendicare aiuti economici per svecchiare il proprio mix energetico. "Questo non è il 1992, non siamo più a Kyoto" dice Kerry "Ora la Cina è il più grande responsabile di emissione di gas serra del mondo e la seconda economia... Non rimarranno seduti a far nulla. Metteranno fondi e agiranno su altri fronti". Sotto la torre Eiffel tutto è possibile, tranne un fallimento.