Italia

Chiusa l'inchiesta

Italiani uccisi in Libia: rischio processo per sei dirigenti dell'azienda Bonatti

Cantiere Bonatti

Il sequestro in Libia, il 19 luglio 2015, di quattro tecnici della Bonatti sfociato nella morte di due di loro, Salvatore Failla e Fausto Piano, poteva essere evitato se fossero state adottate idonee misure di sicurezza da parte dell'azienda. Di ciò è convinta la Procura di Roma che ha chiuso l'inchiesta nei confronti di sei indagati, tutti della società parmense che costruisce impianti oil&gas. Cooperazione colposa nel delitto doloso il reato contestato dal pm Sergio Colaiocco.

Salvatore Failla e Fausto Piano, vennero uccisi nel febbraio dell'anno successivo al sequestro, in un conflitto a fuoco. I
colleghi Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, riuscirono invece  a liberarsi e a tornare in Italia.  I quattro dipendenti furono sequestrati durante il loro trasferimento a Mellitah, zona interna della Libia in cui ci sono cantieri Eni e dove operano i dipendenti della Bonatti. Contrariamente a quanto avvenuto per altri spostamenti, quello del luglio 2015 avvenne su auto con autista e non via nave dall'isola di Djerba, in Tunisia, secondo quanto previsto dai protocolli depositati presso la Farnesina.
 
L'avviso di chiusura indagine, atto che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato al presidente della Bonatti Paolo Ghirelli, a tre componenti il consiglio di amministrazione, ed al responsabile dell'azienda per la Libia Dennis Morson. Indagata la stessa Bonatti in base alla legge sulla responsabilità degli enti.

E' la prima volta che, in tema di sequestri di nostri connazionali all'estero, viene contestato il reato di 'cooperazione colposa nel delitto doloso' collegato 'all'evento morte' di Failla e Piano ai quattro componenti del cda della Bonatti. 

Secondo il pm Sergio Colaiocco, che ha contestato anche l'illecito amministrativo alla stessa azienda emiliana sulla base della legge 231 del 2001 sulla responsabilità degli enti, nel 2015 in Libia era ben nota la situazione di pericolo. La nostra ambasciata era stata chiusa nel febbraio di quell'anno e la Farnesina, alla luce di un peggioramento delle condizioni, aveva invitato le società italiane impegnate in Libia ad andarsene o a elevare le misure di sicurezza a beneficio dei lavoratori.