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EUROPA

Sempre più complesso l'addio del Regno Unito alla Ue

Brexit: la sospensione del Parlamento è legale, ora appello alla Corte suprema

Nel frattempo Boris Johnson fa campagna elettorale nella Scozia anti brexit: vede la regina Elisabetta nel castello di Balmoral e stanzia duecento milioni di sterline per sostenere l'agricoltura locale

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La sospensione del Parlamento è legale e l'istanza contro la decisione del primo ministro Boris Johnson di sospenderne i lavori è stata respinta. Lo hanno deciso i giudici dell'Alta Corte. Il caso, scrive il sito della Bbc, è stato presentato dalla donna d'affari Gina Miller sostenitrice di come la mossa rappresentasse "un abuso di potere illegale". Rigettando l'istanza della signora Miller, Lord Justice Burnett ha però detto di potersi appellare immediatamente a causa degli importanti punti di diritto in gioco. L'appello dovrebbe essere ascoltato dalla Corte Suprema il 17 settembre prossimo. Un'analoga impugnazione legale ascoltata alla Corte di Sessione di Edimburgo mercoledì scorso era fallita, mentre un'altra azione legale è in corso in Irlanda del Nord per impedire la sospensione del Parlamento. "Il mio gruppo ed io non abbandoneremo mai la battaglia per la democrazia - ha dichiarato ai media Gina Miller -. Abbandonare ora significherebbe mancare al nostro dovere, invece vogliamo continuare a batterci per il mondo e le future generazioni". 

E' già campagna elettorale
Intanto Boris Johnson fa già campagna elettorale nella Scozia anti brexit: vede la regina e stanzia 200 milioni di sterline per gli agricoltori locali. Johnson vuole spingere le opposizioni a dare l'ok alla nuova mozione in favore del voto annunciata dal governo ai comuni per lunedì prossimo. Nel corso della visita lampo scozzese, Johnson ha in programma un incontro con la regina nel castello di Balmoral, ma soprattutto intende far leva sulla promessa di oltre 200 milioni di sterline (160 stanziati ieri, altri 51 entro due anni) da destinare in vista della brexit a sostegno dell'agricoltura in Scozia. 

O brexit o morte
"Preferisco morire in un fosso che andare a chiedere a Bruxelles un'altra proroga e buttare via un miliardo di sterline al mese". Aveva detto solo ieri il primo ministro Boris Johnson rispondendo alla domanda di una giornalista al termine del discorso pronunciato presso l'accademia di polizia nel West Yorkshire.

"Elezioni e uscita da Ue il 31 ottobre"
Il premier britannico, Boris Johnson, ha ribadito che il Regno Unito "deve lasciare la Ue il 31 ottobre". Parlando in un discorso pubblico a Wakefield, trasmesso in diretta e seguito alle umilianti sconfitte subite in questi giorni in Parlamento, il premier ha confermato l'intenzione di volere riprovare con il voto anticipato. Il capo dell'esecutivo ha ribadito di non volere elezioni, ma di non riuscire a vedere "altra strada". "Se le persone veramente pensano che dobbiamo rimanere nella Ue oltre il 31 ottobre, allora dovrà deciderlo il popolo", ha aggiunto. 

Lunedì nuovo tentativo
Il governo Tory di Boris Johnson torna alla carica sulle elezioni anticipate, annunciando un nuovo voto alla Camera dei comuni per la convocazione delle urne, dopo il mancato quorum di ieri su una prima mozione in favore del voto politico il 15 ottobre. Il nuovo tentativo è in programma per lunedì. Come hanno spiegato fonti governative, la scelta di tentare nuovamente di far passare in aula una mozione per indire elezioni anticipate - pur non essendo riusciti in prima battuta a ottenere l'appoggio delle opposizioni - risiede nel fatto che lunedì molto probabilmente sarà legge la proposta avanzata dal laburista Hilary Benn per evitare una Brexit senza accordo il 31 ottobre.

Conti alla mano
Proprio questo è stato indicato nei giorni scorsi dal leader laburista Jeremy Corbyn come il passaggio sine qua non prima di tornare alle urne. Da qui il nuovo tentativo dell'esecutivo di Boris Johnson, che spera di riuscire a convincere i laburisti ad appoggiare la mozione (servono 434 voti). Ma nonostante Corbyn sia tentato, molti nel partito temono questa mossa, perché non si fidano del premier che potrebbe posticipare la data dopo il 31 ottobre oppure ottenere una maggioranza tale da poter poi abrogare la legge che impedisca il no-deal. In entrambi i casi, si avvererebbe il temuto scenario dell'uscita senza accordo. 

Pence a Johnson: Usa sostengono addio a Ue
Gli Stati Uniti sostengono la decisione del regno unito di lasciare l'unione europea: è questo il messaggio di Donald Trump che il vicepresidente americano, Mike Pence, ha consegnato nelle mani del premier britannico, Boris Johnson. "Ho parlato stamattina col presidente e mi ha detto di rassicurarla su questo", ha detto Pence secondo quanto riporta il pool della Casa Bianca al seguito del vicepresidente. Pence ha aggiunto che "gli Usa sono pronti a negoziare immediatamente un accordo di libero scambio".

Il fratello di Boris Johnson si dimette
Jo Johnson, fratello del premier britannico Boris, si è dimesso dal suo ruolo di parlamentare e sottosegretario. "E' stato un onore rappresentare Orpington (il suo collegio, ndr) per 9 anni e servire come sottosegretario con tre primi ministri. Sono stato combattuto tra la lealtà famigliare e l'interesse nazionale. E' una tensione irrisolvibile ed è il momento che altri assumano il mio ruolo di deputato e sottosegretario", scrive Jo Johnson in un tweet. Il fratello del premier era entrato nel governo, nonostante le sue posizioni pro-Ue. Nel referendum del 2016 votò per il 'remain'.

Barnier: "Trattativa in stato di paralisi" Le trattative tra Unione europea e governo britannico sulla Brexit "sono attualmente in uno stato di paralisi". Il duro giudizio è di Michel Barnier, il capo negoziatore della Ue, secondo quanto emerge da una nota riservata inviata ai diplomatici europei. A rivelarne il contenuto è il Financial Times, riferendo che nella nota Barnier spiega ai rappresentanti degli Stati membri che la Gran Bretagna, nel quadro del futuro accordo commerciale con Bruxelles, intenderebbe discostarsi dagli standard Ue. Questo aggiungerebbe ulteriori tensioni al rapporto tra il governo guidato da Boris Johnson e l'Unione europea. Secondo Barnier, qualsiasi accordo di libero scambio tra Londra e Bruxelles che non rispetti gli standard europei, andrebbe incontro a seri problemi di ratifica da parte di alcuni stati, tra i quali Francia e Olanda, decise a non concedere al Regno Unito margini di competitività.

Downing street: nessuna paralisi Downing street ha respinto le affermazioni attribuite a Barnier sullo "stato di paralisi" dei colloqui fra londra e Bruxelles sulla Brexit. "Non vedo nulla on the record da parte di Barnier al riguardo, ma in ogni caso respingo totalmente una simile valutazione", ha detto oggi un portavoce del premier, Johnson, rispondendo ai giornalisti sull'argomento dopo le indiscrezioni di stampa secondo cui il capo negoziatore dell'ue avrebbe parlato appunto di "paralisi" aggiornando gli ambasciatori dei 27 sull'andamento del confronto nel pieno della crisi politica britannica. "Entrambe le parti hanno concordato di proseguire domani i colloqui dopo le discussioni costruttive di ieri", ha tagliato corto il portavoce di Johnson, evidenziando "la volontà espressa da leader Ue di trovare e condividere soluzioni ai problemi che abbiamo posto sul vecchio accordo" di divorzio.