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ECONOMIA

Studio Fondazione Di Vittorio

Cgil: Italia maglia nera in Ue per salari ma si lavora di più

Se la nostra busta paga media  annua ammonta a circa 30mila euro contro i 48mila dei Paesi Bassi, i  47mila del Belgio, gli oltre 42mila della Germania e i 39mila della  Francia, lo stesso non si può dire per l'orario di lavoro, tra i più alti di quelli presi in esame

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Si va sempre più allargando il divario tra  i salari italiani e quelli europei. Ma se la nostra busta paga media  annua ammonta a circa 30mila euro contro i 48mila dei Paesi Bassi, i  47mila del Belgio, gli oltre 42mila della Germania e i 39mila della  Francia, lo stesso non si può dire per l'orario di lavoro tra i più alti di quelli presi in esame. In una parola, i lavoratori italiani  sono pagati meno ma lavorano di più. E' lo studio della Fondazione di Vittorio a fare il punto sul mercato del lavoro e i suoi squilibri  analizzando i dati Ocse del 2019. La differenza più estrema tra Italia e Germania la si raggiunge se si comparano i salari medi di una coppia monoreddito con due figli; il 61,5% in meno.       

Un gap di reddito che arriva al 71,8% in caso di monogenitore con due  figli. Non solo: i dati mostrano come il maggior cuneo fiscale, cioè  la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e  quanto riceve effettivamente il lavoratore in busta paga, sia stata  pari al 39,2% proprio per la coppia monoreddito con due figli. 

L'Italia inoltre è l'unico tra i sei Paesi dell'Eurozona che non ha  ancora recuperato il livello salariale pre-crisi (2007). Ma la diversità negativa per i salari italiani, spiega ancora la Cgil, "non  è attribuibile all'orario di lavoro che risulta fra i più alti di quelli presi in esame", quanto piuttosto ad un mercato del lavoro che vede "un addensamento maggiore dell'occupazione nelle qualifiche  medio-basse" e in un aumento "della precarietà come attesta la  crescita dei contratti a tempo determinato discontinuo e l'utilizzo di un part time involontario".

Serve aumento salari, rinnovo contratti e riforma fiscale
E' necessario un "riequilibrio" dei salari  italiani non solo per dare una risposta concreta ai problemi delle  persone "ma anche come elemento essenziale della competitività futura del Paese". Un recupero che passa da un intervento sulla quantità e qualità dell'occupazione; dai rinnovi contrattuali da troppo tempo  bloccati e da una riforma fiscale che recuperi risorse per le  retribuzioni. Sono queste per la Cgil le leve da azionare in contemporanea per ridare fiducia ad un paese in grave difficoltà collegandole, come spiega il rapporto della Fondazione Di Vittorio, "all'utilizzo degli investimenti con l'accesso ai fondi europei, alla  trasformazione del nostro modello produttivo e alle necessarie risorse per far ripartire i consumi".       

Il divario negativo dell'Italia su sviluppo e produttività,infatti, annota ancora il Rapporto, "non è riconducibile né alla quantità di ore lavorate né alle retribuzioni". Il problema invece sta tutto  "nelle scelte di anni volte a recuperare competitività di costo attraverso moderazione salariale, che producono bassa crescita, ristagno della base produttiva e dell'occupazione" e in "politiche di  governi e parte delle imprese che hanno disincentivato investimenti, determinato scarsa innovazione e inciso negativamente sulla domanda aggregata tramite minori consumi". Nei fatti, conclude la Cgil, "la  scarsa crescita delle retribuzioni di questi anni, è stata uno degli  effetti ma anche causa, della stagnazione italiana".