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MONDO

Cina, 3 figli per coppia

Per raggiungere i suoi obiettivi il Pcc ha bisogno di sanare lo squilibrio demografico

La libertà di avere un terzo figlio potrebbe essere inutile per invertire la tendenza a meno che il governo non metta in campo consistenti incentivi per le coppie

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di Maria Novella Rossi
E’ già qualche anno che nei parchi di molte città cinesi si tengono spesso dei curiosi mercatini: mamme con le foto dei propri figli maschi che esibiscono i loro ragazzi nella speranza che siano scelti dalle giovani donne in cerca di marito. 

Risultato della politica del figlio unico, oggi in Cina i giovani maschi sono più delle donne. E’ difficile fare una statistica esatta ma lo squilibrio è stato misurato in alcune città cinesi con 117 ragazzi ogni 100 ragazze. Una tendenza preoccupante: nel  giro di un ventennio gli uomini in età da matrimonio potrebbero trovarsi senza più  donne per mettere su famiglia. E a questo proposito si è parlato tempo fa di una  singolare proposta arrivata da Ye Kuang, un professore di economia dell’Università Fudan di Shanghai il quale  aveva proposto  la “strategia dei due mariti”: “l’idea è che il governo cinese dovrebbe permettere alle donne di avere più mariti, due per l’esattezza” aveva scritto il professore nella rivista NetEase Finance;  “la strategia dei due mariti”, continuava  lo studioso, gioverebbe all’esigenza e alla difficoltà della popolazione maschile di trovare moglie, e permetterebbe anche la nascita di più figli”.

Un articolo che ha suscitato polemiche sul web, soprattutto da parte di chi ha interpretato la teoria dei due mariti in senso sessista, come se le donne fossero macchine per fare figli, ma lo squilibrio demografico da tempo sta diventando  una preoccupazione pressante per la nomenklatura del PCC che ha mobilitato economisti e studiosi in maniera massiccia,  per dare una svolta a una problematica che potrebbe cambiare il corso della  pianificazione economica voluta da Pechino. 

Introdotta in Cina nel 1979 da Deng Xiaoping per contrastare la crescita demografica allora esponenziale nel paese, la legge che imponeva l’obbligo del figlio unico venne poi allentata man mano che le nascite diminuivano, fino all’abolizione voluta da Xi Jinping nel 2015,  quando ormai era chiara la tendenza alla decrescita e all’invecchiamento della popolazione, nonché gli squilibri di cui sopra che si andavano sempre più nettamente delineando. Man mano che si andava formando una classe media  sempre più numerosa e benestante, (attualmente oltre 400 milioni di persone, 600 milioni in pochi anni secondo Mc Kinsey) il desiderio di avere più figli è andato diminuendo: molte giovani donne cinesi hanno rimandato o rinunciato  o si sono limitate in ogni caso  al figlio unico, impegnate nella carriera e attratte da una vita più libera all’insegna del benessere,  recente conquista in Cina,  che il costo dei figli potrebbe mettere a dura prova.  Per questo anche la libertà di avere un terzo figlio potrebbe essere inutile per invertire la tendenza a meno che il governo non metta in campo consistenti incentivi per le coppie.  

La nuova legge annunciata dal presidente  Xi Jinping  è una decisione che arriva poche settimane dopo la pubblicazione dei dati dell’ultimo censimento: 18% di nascite in meno nel 2020 rispetto al 2019. Una tendenza simile a quella dell’Italia o del Giappone, con una contrazione progressiva della popolazione:  1,41 miliardi di persone che potrebbero diventare in Cina nel 2100 un miliardo, numero che verosimilmente sarebbe superato dall’India.  Correggere questo orientamento  per l’ex celeste impero è di primaria importanza: l’obiettivo dello Stato in Cina  è la crescita economica del paese,  secondo quello “sviluppismo confuciano” che ha sempre messo in primo piano non l’individuo ma  l’interesse della collettività.