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ECONOMIA

Domanda per Made in Italy forte e crescente

Confindustria, Italia arranca ma resta settima potenza mondiale nel manifatturiero

L'annuale classifica elaborata dal Centro studi di Confindustria evidenzia che il nostro Paese "riesce a difendere la seconda posizione in Europa e si colloca settimo nel mondo (nel 2015 era ottavo), con una quota del 2,3%, seppure quasi dimezzata rispetto al 2007

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L'Italia "arranca" e fatica a ripartire, con una quota del manifatturiero che si è dimezzata rispetto al livello pre-crisi, ma superiore a quelle di Regno Unito e Francia. Resta comunque seconda in Europa, dopo la Germania, e settima nel mondo. E' quanto emerge dal rapporto del Centro Studi Confindustria 'I nuovi volti della globalizzazione. Alla
radice delle diverse performance delle imprese'.

L'annuale classifica elaborata dal Centro studi di Confindustria evidenzia che il nostro Paese "riesce a difendere la seconda posizione in Europa e si colloca settimo nel mondo (nel 2015 era ottavo), con una quota del 2,3%, seppure quasi dimezzata rispetto al 2007. Invece è nono nell'export dei manufatti, ottavo se si mette in conto il recente deprezzamento della sterlina, che riduce il valore esterno delle merci britanniche".

Lo studio traccia più in generale un rallentamento dell'ascesa degli emergenti, "in termini di velocità di crescita del valore aggiunto manifatturiero, che comunque resta elevata, e di consolidamento del primato cinese (28,6% la quota sul totale mondiale del 2015, dal 22,8% nel 2012 e dal 6,8% nel 2000)". Dall'altro lato si sottolinea "la ripresa dell'attivita' industriale negli avanzati, soprattutto in Usa e Germania". 

Domanda per Made in Italy forte e crescente 
In uno scenario di forte rallentamento del commercio mondiale la domanda per il Made In Italy è "forte e crescente: il brand Italia mantiene integra la grande capacità di attrazione, che va meglio colta con la promozione internazionale declinata in tutti gli aspetti". Lo rileva il Centro Studi Confindustria nel rapporto 'I nuovi volti della globalizzazione. Alla radice delle diverse performance delle imprese'. Confindustria sottolinea dunque che bisogna lavorare e far leva proprio su questo brand per colmare i "vuoti di produttività" che si sono stati scavati dalla crisi. "Sono vuoti molto differenziati tra settori (rispetto al picco pre-crisi si va dal -50% del legno al +11% del farmaceutico) e territori, con il Sud che ha subito i danni maggiori anche in termini di perdita di potenziale manifatturiero, già molto inferiore a quello del Nord".

Peraltro, evidenziano gli industriali, "il rilancio del sistema italiano non può contare quanto altri su una massiccia presenza di multinazionali: lo stock di investimenti esteri è il 26% del Pil, contro il 60% della Spagna, il 43% della Francia e il 41% della Germania". Inoltre, deve fare i conti con due ostacoli: la scarsa disponibilità di credito e la bassa profittabilità, che è in recupero rispetto ai minimi storici toccati nel 2012 ma "resta penalizzata da un costo del lavoro che sale (+24,6% tra 2007 e 2015) a ritmi quasi tripli di quelli della produttività (+9,5%)".