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ECONOMIA

Dentro la crisi

La Cina spaventa più della Grecia. Speculazioni e azzardo, così si è arrivati al '29 di Pechino

Shanghai e Shenzhen hanno bruciato in meno di un mese tremila miliardi di dollari di capitalizzazione, 15 volte il pil della Grecia nel 2014, sette volte il debito di Atene. Dal giugno 2014 gli indici delle due piazze hanno registrato una crescita del 150 per cento

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La Presse
"Se una farfalla batte le ali a Pechino, a New York si scatena una tempesta" 

L'Europa da mesi ha occhi per la sola crisi greca, ma sono briciole in confronto a ciò che sta succedendo in Cina. Shanghai e Shenzhen hanno bruciato in meno di un mese tremila miliardi di dollari di capitalizzazione, 15 volte il pil della Grecia nel 2014, 7 volte il debito di Atene. Pochi giorni bastano dunque a far crollare le certezze di quella che fino a ieri era considerata un'economia in espansione. E ancora di più preocuppano le risposte di un governo dirigista: soluzioni che rischiano di esasperare l'opacità del sistema finanziario cinese e spingere gli investitori verso l'azzardo morale.  

Tutta l'Asia - dal Giappone alla Corea - teme il contagio, e anche Europa e Usa rischiano di pagarne le conseguenze. La Germania, soprattutto, è il primo esportatore europeo in Cina e anche l'unico paese ad avere la bilancia commerciale in attivo con Pechino.

Ecco come si è arrivati alla crisi 
Una vera e propria bolla speculativa. Quello che già viene definito il '29 di Pechino è stato il frutto di speculazione e azzardo morale. A partire dal giugno 2014 gli indici di Shanghai e di Shenzhen hanno registrato una crescita del 150 per cento. Per mesi la corsa al rialzo dei titoli ha alimentato l'euforia, nel paese in cui il gioco d'azzardo è una passione antica. Si consideri che circa 90 milioni di giocatori in borsa siano persone comuni, compresi contadini e principianti allo sbaraglio attirati sul mercato dalla prospettiva di guadagni facili e dal mare di liquidità messa a disposizione dalle autorità. 

Tre settimane fa poi l'inversione con gli indici in discesa. Articoli comparsi su molti media vicini al governo, come la rivista Caixin e il quotidiano Global Times, hanno accusato l'agenzia responsabile del controllo del mercato, la China Securities Regulatory Commission (Csrc) di aver gestito nel modo sbagliato la crisi del mercato azionario, ingannando gli operatori che avrebbero concesso una fiducia eccessiva agli interventi "correttivi" delle autorità' .

Le risposte del governo cinese
Per scongiurare il rischio di un crollo le autorità hanno dispiegato misure impressionanti. Il governo ha vietato ai grandi soci e ai manager di vendere i loro titoli per sei mesi. Ha inoltre ordinato alle imprese statali di acquistare azioni e invitato i maggiori brocker di Shanghai ad unirsi per creare un fondo di acquisto del valore di 20 miliardi di dollari. La People's Bank Of China ha promesso al mercato "ampia liquidità" per assorbire gli shock, liquidità che potrebbe anche riversarsi in un fondo da 81 miliardi di dollari gestito dalla China Securities Finance. 

Per ora tutti i tentativi sono andati a vuoto. Dal blocco delle Ipo ai controlli sulle vendite allo scoperto, dal taglio dei tassi all'ampliamento dei collaterali per finanziare il trading (con la possibilità di dare in garanzia anche la casa), dall'impegno delle società di gestione a non vendere azioni alla costituzione di un fondo da 19,3 miliardi di dollari per investire in blue chips, nessuna delle misure adottate negli ultimi dieci giorni dal governo è riuscita ad arginare la grande paura di milioni di cinesi di perdere tutto.