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SCIENZA

Crimini contro l'umanità

Donne che massacrano

Una ricerca condotta presso le università olandesi di Tilburg e Groningen mette in luce il ruolo svolto dalle donne nei massacri di massa

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di Stefano Lamorgese
Quando si tratta di massacri, le donne non sono seconde a nessuno. Potrebbe essere questa, in estrema sintesi, la conclusione da trarre in base alla lettura di una ricerca (Women involved in mass atrocities just like men) condotta dalla professoressa Alette Smeulers, docente di Criminologia internazionale presso l'Università olandese di Tilburg.

I contenuti della ricerca
Fin da quando fu costituita la Corte Penale Internazionale (nel 2002), che giudica i cosiddetti "crimini contro l'umanità", sono state perseguite 280 persone. Solo tre, tra loro, sono donne.

La professoressa Smeulers spiega così il fenomeno: "Il motivo per cui così poche donne sono state perseguite dai tribunali penali internazionali è semplice: i giudici si concentrano sui leader politici; sia gli autori materiali dei delitti sia le donne sono sottorappresentati all'interno delle leadership politiche e nelle unità militarizzate".

"Ciò non significa" prosegue la criminologa "che le donne non combattano in guerra e che quindi non possano commettere atrocità di massa". La maggior parte di loro svolgono funzioni amministrative e di supporto, è vero, ma molte altre hanno ruoli da protagonista.

Il genocidio del Rwanda
Dopo il genocidio ruandese, nel 1994, le efferatezze di matrice femminile sono emerse più compiutamente, permettendo di cambiare le tinte del quadro d'insieme.

Già il libro "Not so innocent - when women become killers" (Non tanto innocenti - quando le donne diventano assassine), pubblicato da "African rights" nel 1995, denunciò apertamente il fenomeno.

A tale pubblicazione si aggiunge, nel 2010, il rapporto della Croce Rossa Internazionale "Women’s participation in the Rwandan genocide: mothers or monsters?" (La partecipazione delle donne nel geonicio ruandese: madri o mostri?).

Nazismo
La ricerca della professoressa Smeulers, insomma, ha solide basi. È poi anche vero che recenti ricerche hanno messo in luce inequivocabilmente il ruolo che le donne hanno svolto nell'organizzazione dell'Olocausto nazista, in particolare all'interno della "burocrazia della morte"; ma non mancarono certo volenterose carnefici come infermiere e guardie carcerarie.

Balcani, Medio Oriente
Molte donne furono coinvolte nelle guarre balcaniche che portarono alla dissoluzione della Jugoslavia: alcune di loro sono sotto processo in Bosnia-Erzegovina. Hanno fatto il giro del mondo le immagini di abusi sui prigionieri iracheni nel carcere speciale USA di Abu Grahib: dimostrarono la partecipazione attiva delle soldatesse americane nelle umiliazioni sessuali e nelle torture dei prigionieri.

Anche i recenti sviluppi della guerra dell'ISIS/Daish in Siria e in Iraq hanno mostrato al mondo il ruolo che molte donne hanno scelto di svolgere sul piano militare. Con il coinvolgimento di molte di loro nel traffico di schiave sessuali, uno dei tratti caratteristici del "califfato". (Si veda, a questo proposito, il documento dell'ONU Report on the Protection of Civilians in Armed Conflict in Iraq: 6 July-10 September 2014).

Come i maschi, peggio di loro?
Nel "mainstream" dell'informazione globale la donna-soldato che compie efferatezze, si legge ancora nella ricerca della Smeulers, finisce per essere utilizzata come rappresentazione simbolica di una profonda trasformazione antropologica.

Ma qualsiasi misurazione o comparazione della propensione alla brutalità porterebbe fuori strada. Quello che emerge con più evidenza dalla ricerca olandese, infatti, è il processo di costrizione che rende le vittime capaci di commettere crimini atroci. Un processo, conclude la Smeulers, che tocca in pari misura uomini e donne. Quando questi e queste devono reagire all'oppressione, alla minaccia quotidiana, alla paura, il risultato - purtroppo - non cambia.