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MONDO

Il racconto, al telefono, da Pujehun

Sierra Leone, il medico italiano in prima linea: "L'isolamento in ospedale spaventa quanto il virus"

Tito Squillaci, pediatra, è nel Paese africano da giugno con l'associazione Cuamm, Medici con l'Africa. La prossima settimana rientrerà in Italia per disposizione dell'Ong perché restare nel paese è troppo pericoloso

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di Silvia Balducci
Il virus Ebola uccide anche in Sierra Leone, dove le vittime della febbre emorragica sono già oltre 340. Alla paura del contagio, si unisce il sospetto per gli ospedali percepiti come luoghi di morte. A raccontare l'emergenza è il pediatra italiano Tito Squillaci, in Sierra Leone, a Pujehun da giugno. Il medico tornerà in Calabria la prossima settimana, perchè l'associazione con cui opera, Cuamm Medici con l'Africa, ha scelto di far rientrare parte del personale. Nel distretto di Pujehun infatti ci sono tre focolai accertati, che fino ad ora hanno provocato 7 morti.

In che condizioni opera il personale sanitario in Sierra Leone?
"Operiamo in massima allerta con delle precauzioni importanti. Nell’ospedale con il paziente può accedere solo un accompagnatore. Tutti quelli che entrano, inoltre, subiscono uno screening all’ingresso con un’infermiere che controlla la temperatura corporea e fa delle domande per capire se ci possono essere sospetti di ebola. Con tutti i nuovi pazienti, inoltre, indossiamo un grembiule di plastica, dei guanti, a volte persino doppi, mascherina e occhiali”.

Come vengono trattati i casi di contagio?
"Se dalle analisi si evince che il caso è sospetto, dobbiamo fermarci immediatamente e mettere in moto un meccanismo che permette al paziente di essere preso in carico da un team specializzato per l’Ebola. Allertiamo quindi il gruppo responsabile che viene a prendere il paziente e lo porta in un centro ad hoc".

Lei è stato a stretto contatto con i bambini. Come vivono i più piccoli questa emergenza?
"Noi ci occupiamo di bambini di età inferiore ai cinque anni, spesso inconsapevoli del problema. In generale, però, tra la popolazione ci sono due paure: c’è la paura dell’ebola che è grande, palpabile, ma c’è anche un timore per l’isolamento e per il ricovero. Spesso i malati non vogliono essere portati in ospedale perché lo percepiscono come un luogo di morte".

In Sierra Leone ci sono le risorse per fare fronte all’emergenza?
"Assolutamente no, qualche giorno fa ho partecipato ad un incontro durante il quale il ministro della Sanità ha pubblicamente dichiarato: "Abbiamo bisogno di tutto, personale specializzato, strutture, ambulanze materiale consumo". Serve un supporto a tutto campo, la Sierra Leone non è assolutamente un grado di fare fronte all’emergenza, solo un intervento internazionale può arginare l’epidemia".

Ha mai avuto paura di essere contagiato?
"Purtroppo capita che ci siano contatto con materiali organici. Io non ho mai avuto paura di aver toccato un bambino contagiato, perché fortunatamente nel nostro ospedale non abbiamo avuto famiglie con contagi".

Al rientro in Italia cosa succederà?
"Non è previsto isolamento. Altri due operatori sono già rientrati e non hanno subito alcun controllo. Al momento della partenza, invece, all’aeroporto di Freetown tutti i passeggeri vengono visitati due volte e viene misurata la temperatura. L’Ebola non cantagia nella fase di incubazione ma solo quando i sintomi sono già conclamati. In assenza di febbre dunque non c’è pericolo di contagio e si può lasciare il Paese".