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Coronavirus

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Coronavirus e fake news, Facebook: notifica a chi le diffonde

Chi diffonde o mette like sulle notizie fasulle troverà una notifica sulla timeline, che rimanderà alle informazioni di fonte autorevole. La novità in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti, Paese dove - secondo Pew Research - quasi metà della popolazione crede a teorie fantasiose sul coronavirus. E il Washington Post le ha esaminate

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Chi ha condiviso una notizia falsa sul coronavirus e dintorni riceverà una notifica, che apparirà in cima alla propria timeline, il flusso di notizie su Facebook.  La notifica è destinata alle persone che hanno fatto like, interagito o commentato contenuti di disinformazione dannosi relativi al covid-19 che il social ha poi rimosso.

La crociata contro le fake news
La novità annunciata da Facebook riguarda tutti gli utenti a livello globale, come parte del Covid-19 information center. Inoltre, una nuova sezione, Get the facts, avrà articoli verificati dai partner fact-checkers del social network ma sarà operativa al momento nei soli Stati Uniti.

Sono queste le nuove iniziative di Facebook per combattere la disinformazione durante l'epidemia. "Abbiamo reindirizzato oltre 2 miliardi di persone verso l'Organizzazione mondiale della sanità e altre autorità sanitarie, con oltre 350 milioni di persone che hanno cliccato per saperne di più”, ha detto il vicepresidente Guy Rosen.

Facebook da alcuni giorni ha lanciato, anche in Italia, il centro informazioni sul coronavirus che mostra la mappa mondiale del contagio, insieme a informazioni sui numeri dell'epidemia, nazionali che globali, facendo riferimento a fonti autorevoli come l'Oms e, in Italia, il ministero della Salute.
 
La disinformazione imperversa 
La disinformazione sul coronavirus fa presa sul pubblico: tre americani su dieci credono che il virus sia stato prodotto in un laboratorio, secondo uno studio del prestigioso Pew Research Center, citato anche da EuVsDisinfo, la task force dell’Unione europea per la lotta alla disinformazione.

Il sondaggio condotto dal centro di ricerca tra il 10 e il 16 marzo 2020, ha rilevato che quasi un terzo degli americani (29%) ritiene che il virus responsabile di Covid-19 sia stato "molto probabilmente" prodotto in un laboratorio. Di questi, il 23% pensa che il virus sia stato sviluppato intenzionalmente mentre solo il 6% ritiene che sia successo accidentalmente.

Il 43% degli intervistati afferma che molto probabilmente il virus è nato in modo naturale, come sostiene la maggior parte della comunità scientifica, ma il 25% ha espresso incertezza sulle sue origini.

Le teorie fantasiose
L'origine del contagio del coronavirus resta un mistero, e a questo mistero il Washington Post dedica un articolo con le tre teorie più diffuse: "una chiaramente falsa, una possibile ma non supportata da prove note e una sostanzialmente vera".

La prima ipotesi è che l'epidemia sia collegata alla ricerca sulle armi biologiche, che rilancia una ricerca dell'ex ufficiale dell'intelligence militare israeliana, Dany Shoham, per sostenere che il "coronavirus potrebbe essere nato in un laboratorio collegato al programma di armi biologiche della Cina" a Wuhan.  

La seconda teoria: il coronavirus si è diffuso da un laboratorio a causa di un incidente. Alternativa "più plausibile" rispetto alla prima teoria, secondo le parole del Post, che convince alcuni scienziati mentre altri non sono d'accordo. “Ci sono prove circostanziate", scrive il Post, in riferimento alle ricerche sui coronavirus dei pipistrelli di ricercatori della sede di Wuhan del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie. Ma, sottolinea il giornale, questo non dimostra che il nuovo coronavirus sia mai stato studiato a Wuhan.

La terza teoria afferma che  "il governo cinese ha ingannato il mondo sul coronavirus", scrive il Post, ricordando di aver scritto a inizio febbraio dell'"offuscamento delle informazioni" da parte della Cina. Pechino è stata lenta nella condivisione dei dati, anche con gli esperti dell'Oms, scrive il giornale citando un'inchiesta dell'Associated Press. Ma il Washington Post ricorda anche le "teorie infondate" di un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, sulla possibile origine del virus negli Usa.