Original qstring:  | /dl/archivio-rainews/articoli/il-business-della-reputazione-online-intervista-Andre-Barchiesi-CEO-di-Reputation-Manager-d6ef2f39-62e7-4aec-b6db-e098de49db11.html | rainews/live/ | true
TECH

Dopo la decisione di Google

Diritto all'oblio, parla l'esperto di reputazione online: "Un'anomalia tutta europea"

Reputation Manager è una società che analizza e 'corregge' la reputazione di aziende e privati. La lora attività è la cosiddetta 'ingegneria reputazionale'. Abbiamo chiesto all'amministatore delegato, Andrea Barchiesi, di spiegarci chi si rivolge a loro, perché e come ognuno di noi può tutelare la propria reputazione digitale

Condividi
Che cos’è la reputazione online?
La reputazione online è la percezione di una persona che deriva dall’insieme dei contenuti che leggiamo su di lei nella Rete. Le informazioni che troviamo su Internet ci consentono di farci un’idea su una persona. Queste informazioni sono però mediate da tre fattori: il primo sono i motori di ricerca come Google, il secondo siamo noi stessi con il comportamento che decidiamo di tenere, ad esempio, sui social network come Facebook, Twitter o Linkedin; e l’ultimo sono gli altri. Penso ad esempio alle foto pubblicate su Facebook: se io partecipo ad un evento e qualcuno, sotto la mia foto inserisce un commento (positivo o meno), quello contribuisce a formare la mia reputazione online.
 
Come controllare la propria reputazione online?
Bisogna essere molto attenti e fare frequentemente la cosiddetta ‘egosearch’ cioè cercare dati su di noi ma anche immagini e video. Reputation Manager, a questo scopo, ha creato un tool gratuito chiamato ‘my-reputation.it’ in cui, inserendo nome e cognome, ognuno può controllare che dati circolano in rete.
 
Chi si rivolge a voi?
Da un lato c'è chi ha una situazione da sistemare e che chiede quindi il diritto all’oblio. Tra questi ci sono molte persone che in passato sono state coinvolte in inchieste giudiziarie e che sono state dichiarate innocenti. Spesso nei motori di ricerca si trova però solo la notizia della loro iscrizione nel registro degli indagati e non del loro proscioglimento.

Poi ci sono quelli che voglio costruire un’immagine di se. Penso ad esempio ad un professionista che ha bisogno di lanciare la propria attività e che deve gestire il fatto che cercando il suo nome in Internet compaiono solo informazioni accessorie ma non il fatto che ha partecipato a convegni e ha scritto decine di libri.

A noi si rivolgono anche molti personaggi famosi e politici, soprattutto nella fase iniziale della loro carriera, quando cioè hanno bisogno di essere ‘lanciati’. In questo senso il nostro lavoro può essere considerato anche come l’evoluzione dell’ufficio stampa.

Spesso ci chiamano anche aziende che vogliono valutare e verificare il curriculum dei candidati per un lavoro.
 
Come intervenite se trovare notizie negative su un vostro cliente?
Se la notizia è falsa ci rivolgiamo a chi l’ha prodotta e gli facciamo presente che sta commettendo un abuso. Il nostro scopo non è quello di andare in tribunale ma di convincerli.

Se invece la notizia che il nostro cliente ritiene lesiva è vera noi facciamo dell’ingegneria reputazionale e inseriamo altri contenuti (positivi) su quella persona per costruire una nuova immagine che combatte quella negativa.
 
Cosa cambia con la sentenza della Corte di giustizia europea sul diritto all’oblio?
Secondo noi non molto. Il diritto all’oblio non è ancora definito in modo chiaro e per Google sarà molto difficile gestire questa novità. Innanzitutto perché da oggi riceverà moltissime richieste di rimozione di dati e molte di queste avranno, probabilmente, poco a che fare con il vero diritto all’oblio. C’è poi il fatto che con questa sentenza viene ‘punito’ il motore di ricerca che è solo un mediatore e non il produttore di quel contenuto che, altrove, continua ad esistere. Infine c’è da considerare che definire i confini del diritto all’oblio è molto difficile e quindi ci vorrà molto tempo per valutare ogni singola richiesta.

Il diritto all’oblio è comunque un’anomalia tutta europea. Negli Stati Uniti non esiste una cosa del genere. In Europa c’è un grande attaccamento alla privacy e alla sua tutela, mentre in America hanno accettato da tempo che la privacy – a causa degli smartphone e delle carte di credito che premettono di tracciare i nostri spostamenti e i nostri acquisti in qualsiasi momento – è ormai un’illusione defunta.
 
Quali limiti avete quando ‘ricostruite’ una reputazione digitale?
Limiti etici soprattutto. Noi non accettiamo chiunque e valutiamo ‘l’opportunità’ di ogni singolo caso. Non lavoriamo, ad esempio, con casi di pedopornografia o con situazioni dubbie. Chiediamo alle persone di dimostrarci attraverso documenti che sono innocenti e se fiutiamo una possibile truffa, anche se la persona in questione non è stata condannata in via definitiva, diciamo di no.