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MONDO

L’Italia ad Haftar e Al Serraji: “Non c’è soluzione militare”

​Libia a un passo dalla riapertura dei negoziati

La Missione delle Nazioni Unite in Libia annuncia un nuovo ciclo di negoziati per porre fine al conflitto

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Una nota ufficiale della Unsmil spiega che Il Governo di Riconciliazione Nazionale e il Libyan National Army hanno dato il via libera a riattivare i colloqui sul cessate il fuoco, il disarmo e la gestione politica ed economica del paese. Il primo passo dovrebbe riguardare gli aspetti militari, affidati alla commissione formata da 5 ufficiali per parte, riunita a Ginevra, l’ultima volta, il 23 febbraio scorso.

E’ probabilmente una svolta importante, anche se sul terreno si continua a combattere, con le forze di Al Serraj di nuovo in difficoltà.

Dopo essere riuscito a recuperare posizioni importanti, allentando l’assedio di Haftar sulla capitale, l’esercito del Gna ora è infatti costretto a ripiegare. Gli uomini della Cirenaica hanno ripreso il controllo della città di Alasaba, dopo un fitto bombardamento aereo. Anche Tarhuna, città a sud-est della capitale, resta saldamente in mano ad Haftar. Secondo il portavoce dell’Lna, Al Mismari, gli uomini di Tripoli si stanno ritirando anche da Gharyan, dopo aver perduto Asbi'ah.

La reazione di Haftar è favorita dall’iniezione di mezzi e risorse delle ultime ore: uno stormo di 12 Mig russi, blindati, artiglieria pesante e truppe. Bersagliata dal cielo, la controffensiva di Al Serraji rallenta e ripiega, mettendo in crisi il piano con cui Tripoli sperava di riequilibrare rapidamente la presenza sul territorio, prendendo in particolare il controllo dei più importanti campi petroliferi, ancora chiusi e in mano alle tribù fedeli alla cirenaica.
 
La possibile svolta annunciata dall’Onu è evidentemente frutto della fortissima pressione diplomatica di questi giorni sui due contendenti.
Il premier Conte, dopo aver sentito sabato Al Serraj, ieri ha chiamato Haftar per ribadire che non c’è soluzione militare. L’unica opzione è quella della pace – questa la posizione italiana -  sotto la guida delle Nazioni Unite e nel percorso disegnato a gennaio con la Conferenza di Berlino.

Anche Stati Uniti, Russia, Francia, Egitto, Emirati Arabi, Tunisia, attraverso una fitta rete di contatti si muovono per disinnescare una crisi sempre più minacciosa per gli equilibri del nord africa e del mediterraneo orientale.

La Turchia, unico paese straniero ufficialmente schierato nel conflitto con il proprio esercito (al fianco di Tripoli), ha ottenuto dal Governo di Accordo Nazionale il permesso di avviare trivellazioni per la ricerca di idrocarburi in uno specchio di mare che cade invece sotto la sovranità greco-cipriota. Questo in virtù di un accordo con cui, lo scorso autunno, Erdogan e Al Serraji hanno arbitrariamente ridisegnato i confini marittimi dell’area, assegnandola alla Libia.

L’operazione Turca, che l’Unione Europea ritiene illegittima, al di là del danno immediato per le compagnie autorizzate a esplorare l’area, cioè Exxon Mobil, Eni e Total, rappresenta una minaccia enorme per i piani industriali di molti altri paesi.
In un comunicato a cinque, pochi giorni fa, Egitto, Grecia, Francia, Cipro ed Emirati Arabi hanno definito “illegale” l’iniziativa di Ankara e denunciato la violazione dello spazio aereo da parte di caccia turchi. E’ un sodalizio contro l’espansionismo di Erdogan. Il presidente egiziano Al Sisi, alleato di Haftar, accusa la Turchia di aver intrapreso un piano nostalgico per una nuova colonizzazione ottomana del nord africa.

Il Cairo da tempo lavora a un progetto che vede l’Egitto crocevia delle forniture di gas verso l’Europa. Cipro, con i suoi enormi giacimenti sottomarini, in questo piano gioca un ruolo chiave. Gli interessi egiziani coincidono con quelli di Italia, Francia, Grecia e Israele.

Come se non bastasse, nello specchio di mare conteso, incrociano dall’inizio di maggio le unità navali europee delle missione Irini, con cui Bruxelles intende garantire l’embargo sulle armi destinate alla guerra libica.

Gli Stati Uniti, rimasti a lungo defilati, negli ultimi giorni hanno assunto una posizione solidale con Tripoli. Da Washington trapela l’idea di dislocare una brigata in una base da realizzare in Tunisia. Ipotesi che ha scatenato la reazione dell’Unione Tunisina del Lavoro, la più grande organizzazione sindacale del paese, che minaccia di combattere “con ogni mezzo” qualunque tentativo di utilizzare la Tunisia come punto di partenza per interferenze turche, americane o di altri paesi stranieri in Libia.