MONDO
#MuroBerlino25. La frontiera dei cani, in un romanzo le storie di confine tra le due Germanie
Marie Luise Scherer racconta com'era vivere nella "zona vietata", quella chiusa tra i due blocchi che dividevano le due Germanie. E regala un'inedita prospettiva

Si scrive Sperrzone, si legge zona vietata: quella striscia di terra tra la Germania comunista e quella dell'ovest, chiusa a tutti. Un braccio di terra che isolava i tedeschi dai tedeschi. E solo chi era politicamente affidabile poteva risiedere in quella striscia di terra larga cinque chilometri e lunga tutta la Germania: lì c'erano quasi trecento villaggi. Paesotti isolati a ridosso della "striscia della morte": un altro, strettissimo braccio di terra, tra la Germania Ovest e la zona vietata. Un pezzo di terra popolato solo dai cani che dovevano sorvegliarla.
I trucchi per scappare: salsicce
A raccontare la storia di quelle persone che vivevano nella zona vietata, ma soprattutto di quei cani è Marie Luise Scherer, giornalista dello Spiegel e autrice di "La Frontiera dei Cani" (Editore Keller). Pastori tedeschi di grossa taglia, addestrati per essere aggressivi, sorvegliavano la striscia della morte. Tra torrette di guardia, campi minati, recinzioni di metallo e postazioni di sparo automatico c'erano loro, i cani: legati a cavi di acciaio, costretti a correre avanti e indietro con qualsiasi tempo. Molti morivano assiderati, tra il ghiaccio e la neve, o per il sole cocente: spesso avevano solo la pioggia da bere. Nella maggior parte dei casi impazzivano. I cuccioli delle femmine venivano uccisi quasi subito, per poterle far lavorare di nuovo come cani da guardia. Ma nel romanzo ci sono anche i trucchi usati dai fuggiaschi, che sapevano come ingannare i cani: gettando loro salsicce nel momento giusto.
Guardie di professione ma contadini dentro
Scherer ricostruisce nel suo romanzo la sorte di questi animali ma anche le semplici vite di quei tedeschi dell'est che vivevano nella zona vietata: contadini o piccolo borghesi, tutti accomunati da piccoli traffici illegali, almeno agli occhi dello Stato comunista che tutto sorvegliava e tutto sapeva. Erano persone isolate, perché le visite erano consentite soltanto ai parenti e anche in questo caso solo facendo domanda. Chi, provenendo da fuori, lavorava all'interno della zona vietata, doveva lasciarla entro le nove di sera. Dopo il tramonto vengono alla luce le "storie torbide", quelle che Scherer, con un lavoro di ricerca antropologico racconta nel suo romanzo.
I trucchi per scappare: salsicce
A raccontare la storia di quelle persone che vivevano nella zona vietata, ma soprattutto di quei cani è Marie Luise Scherer, giornalista dello Spiegel e autrice di "La Frontiera dei Cani" (Editore Keller). Pastori tedeschi di grossa taglia, addestrati per essere aggressivi, sorvegliavano la striscia della morte. Tra torrette di guardia, campi minati, recinzioni di metallo e postazioni di sparo automatico c'erano loro, i cani: legati a cavi di acciaio, costretti a correre avanti e indietro con qualsiasi tempo. Molti morivano assiderati, tra il ghiaccio e la neve, o per il sole cocente: spesso avevano solo la pioggia da bere. Nella maggior parte dei casi impazzivano. I cuccioli delle femmine venivano uccisi quasi subito, per poterle far lavorare di nuovo come cani da guardia. Ma nel romanzo ci sono anche i trucchi usati dai fuggiaschi, che sapevano come ingannare i cani: gettando loro salsicce nel momento giusto.
Guardie di professione ma contadini dentro
Scherer ricostruisce nel suo romanzo la sorte di questi animali ma anche le semplici vite di quei tedeschi dell'est che vivevano nella zona vietata: contadini o piccolo borghesi, tutti accomunati da piccoli traffici illegali, almeno agli occhi dello Stato comunista che tutto sorvegliava e tutto sapeva. Erano persone isolate, perché le visite erano consentite soltanto ai parenti e anche in questo caso solo facendo domanda. Chi, provenendo da fuori, lavorava all'interno della zona vietata, doveva lasciarla entro le nove di sera. Dopo il tramonto vengono alla luce le "storie torbide", quelle che Scherer, con un lavoro di ricerca antropologico racconta nel suo romanzo.