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MONDO

il valore geopolitico di giacimenti e raffinerie

Perchè l'instabilità politica rende più prezioso il petrolio libico

Il sito di Mobruk è chiuso, abbiamo da tempo evacuato lo staff, si affretta a dire il portavoce della Total per smentire il rapimento di un suo tecnico dall'area petrolifera a sud di Sirte. L'area è inattiva da dicembre, da quando per gli scontri da milizie è stato chiuso il porto di Es Sider. L'occasione per vedere come il comparto petrolifero ufficiale sia bloccato dall'instabilità politica. Ma non in canale del contrabbando, che mette a rischio la stabilità dei Paesi confinanti. 

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Politicamente a pezzi, economicamente attraente. Almeno nel 2011: subito dopo la rivolta che ha portato alla caduta di Gheddafi la Francia si è affretatta a riconoscere il nuovo governo dei ribelli, seguita poi da numerosi Paesi europei, e a spingere per una no fly zone al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Oggi la situazione è rovesciata.

Il comparto petrolio paga l'instabilità politica
Il colosso petrolifero della Total, la cui presenza risale agli anni del Colonnello, nel 2008 produceva 75 mila barili al giorno, ora è alle prese con il presunto rapimento di un suo tecnico sul sito di Mobruk dopo l'assalto da parte delle milizie di Ansar al Sharia, affiliate all'Isis. Un evento che apre uno squarcio sulla situazione di stallo in cui si trova il comparto energetico: Mobruk, infatti, è inattivo da quando è chiuso il porto petrolifero di Es Sider a causa degli scontri tra le milizie. Che l'instabilità politica faccia pagare il conto all'attività petrolifera lo sa benissimo anche l'Italia dato che lo stop allo sfruttamenti di diversi giacimenti - come El Sharara o El Feel, sfruttato dalla National Oil Company libica e da Eni - è arrivato a causa della guerriglia tra le milizie e i clan che se li contendono. E fa sempre più gola, dato che diventa ogni giorno più strategioco per l'Occidente. 

Libia nel caos, la piaga del contrabbando
E poi c'è il contrabbando, di fatto tollerato negli anni del Colonnello oggi ha raggiunto picchi insostenibili dai Paesi confinanti. Da sempre esportatrice di petrolio, la Libia conosce da sempre il doppio binario dei flussi verso l'estero: quello ufficiale - con le lucrose concessioni alle Sette Sorelle - e poi i mille rivoli illegali che approdano in Tunisia, Algeria ed  Egitto. Oggi questo secondo canale è ingigantito e frammentato e i proventi vanno a finanziare quelle milizie che si contendono a colpi di cannone i giacimenti e le raffinerie, causando di fatto un corto circuito che non fa che aumentare l'instabilità e rafforzare i gruppi legati ad al Qaeda o all'Isis, come Ansar al Sharia. Per mettere un argine - e tutelare le loro economue - i tre Paesi hanno rafforzato i controlli alla frontiera con la Libia, a terra e tramite i guardcoste. 

Perchè la crisi ucraina ha reso più prezioso il petrolio libico
Il contesto internazionale, però, rende sempre più prezioso il petrolio libico. La crisi ucraina, le sanzioni, e più in generale la nuova cortina di ferro che allontata sempre di più l'Occidente dal gas russo hanno reso indispensabili le forniture di idrocarburi dall'ex colonia italiana. E questo spiega anche, in parte, perchè la lotta delle milizie libiche che se le contendono si faccia sempre più spietata e abbia tra i protagonisti anche i terroristi del Califfato. 

Gli interessi italiani in Libia
Per questo, per difendere i propri interessi commerciali come la Francia anche l'Italia - che oltre alla presenza nel comparto energetico con Eni puntava soprattutto sulla ricostruzione - mantiene un forte presidio sul territorio. Ecco perchè è l'unico Paese europeo a tenere aperta l'Ambasciata e anche l'Ufficio per il Commercio Estero. Se l'anno scorso il direttore dell'ICE della Libia Marco Pintus parlava di successo delle esportazioni italiane nonostante gli scontri- "Oggi la Libia è un paese dove l'industria manifatturiera è scomparsa, le necessità sono in tutti i settori, basti pensare che c'è stato un boom dell'esportazione dei prodotti alimentari", aveva detto - oggi lo scambio con l'Italia ha subito una contrazione del 30%, dicono gli ultimi dati del 2014. Seppure ridotta e in condizioni di sicurezza precarie, la presenza italiana resta. La speranza è quella che si legge nelle parole di ieri del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a sostegno del lavoro di Bernardino Leon, il Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite: "L'Italia auspica fortemente che tutte le parti libiche partecipino al dialogo politico facilitato dalle Nazioni Unite, nella convinzione che un dialogo inclusivo e aperto a tutte le parti possa garantire un futuro di pace e sviluppo - ha detto - io ho confermato al ministro al Dairy che l'impegno italiano in favore della stabilizzazione in Libia è una nostra priorità".