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ITALIA

Il verdetto di Reggio Emilia

'Ndrangheta al Nord, 125 condanne nel processo Aemilia, Due anni ad ex calciatore Vincenzo Iaquinta

Per l'ex giocatore della Nazionale esclusa l'aggravante mafiosa. L'associazione Libera: "La sentenza di primo grado  conferma che la 'ndrangheta emiliana è una realtà criminale che ha agito in modo autonomo e si è radicata profondamente in regione"

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Processo Aemilia (Ansa)
È di 125 condanne, 19 assoluzioni e quattro prescrizioni il verdetto pronunciato nel primo pomeriggio in Tribunale a Reggio Emilia dal collegio dei giudici presieduto da Francesco Maria Caruso (affiancato a latere da Cristina Beretti e Andrea Rat) che poco dopo le 14 finisce di leggere la sentenza di primo grado per "Aemilia", il maggiore processo contro la 'Ndrangheta del Nord Italia con 148 imputati alla sbarra.

Al netto di alcune riduzioni di pena anche consistenti, (compensate però da condanne più pesanti rispetto a quanto chiesto dall'accusa per altre posizioni) è quindi pienamente conclamata l'esistenza di una 'ndrina attiva da anni in Emilia e nel Mantovano con epicentro a Reggio Emilia, diretta emanazione della cosca Grande Aracri di Cutro, ma autonoma e indipendente da essa.


Nel rito ordinario sono state 24 le assoluzioni del collegio presieduto da Francesco Maria Caruso e composto dai giudici Cristina Beretti e Andrea Rat, per cinque imputati non si procederà perché i reati sono prescritti, mentre un imputato è deceduto prima della sentenza. La pena più alta è stata inflitta a Carmine Belfiore, 21 anni e otto mesi. Condannati, tra l'altro, Gaetano Blasco (21 anni), Michele Bolognino (20 anni e 7 mesi) e Giuseppe Iaquinta (19 anni), imprenditore e padre dell'ex bomber. Nell'abbreviato, con sconto di un terzo della pena, 16 anni e 4 mesi per Gianluigi Sarcone e a 16 anni per Palmo e Giuseppe Vertinelli. I pm nella loro requisitoria avevano ricostruito l'esistenza di una cellula radicata di 'Ndrangheta al nord e in particolare in Emilia, autonoma e organizzata.

Iaquinta condannato a 2 anni
L'ex attaccante della Nazionale, della Juventus e dell'Udinese, Vincenzo Iaquinta, è stato condannato in primo grado a due anni di reclusione. L'ex calciatore è accusato di reati relativi alle armi: per lui erano stati chiesti sei anni. Condannato, invece, a 19 anni il padre Giuseppe, con l'accusa di associazione mafiosa. "Siete ridicoli, vergogna", hanno urlato Iaquinta e il padre uscendo dall'aula del tribunale durante la lettura della sentenza.

 Per Vincenzo Iaquinta è caduta l'aggravante mafiosa
Lo si apprende dalla lettura del dispositivo della sentenza. L'ex attaccante campione del Mondo era accusato di aver violato articoli della legge sul 'controllo delle armi', e di averlo fatto agevolando l'associazione 'ndranghetistica emiliana di cui fa parte anche il padre Giuseppe.





Iaquinta: non sappiamo cosa sia la 'Ndrangheta
"Il nome 'Ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia. Non è possibile. Andremo avanti. Mi hanno rovinato la vita sul niente, perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Noi non abbiamo fatto niente perché con la 'Ndrangheta non c'entriamo niente": questo lo sfogo dell'ex bomber della Nazionale, Vincenzo Iaquinta. L'ex calciatore ha detto: "Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente".

Il sindaco di Reggio Emilia: "Condanna non è punto di arrivo"
"La sentenza emessa oggi conferma nella sostanza l'impianto accusatorio, così come aveva fatto alcuni giorni or sono il pronunciamento emesso a Bologna. Non è un punto d'arrivo, è un punto processuale fermo e importante nella storia di una comunità che ha in questi anni affrontato con consapevolezza e decisione la sfida a favore della legalità". E' il commento del sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi alla sentenza del processo. "Prendiamo altresì atto - prosegue - dell'accoglimento pieno della Costituzione di parte civile da parte dell'Amministrazione del Comune capoluogo". Per Vecchi, Aemilia "ha senz'altro rappresentato un punto di svolta per Reggio Emilia. Ritengo - continua - abbia ridefinito la scala di priorità nel porsi davanti al pericolo mafioso e abbia almeno in parte modificato il Dna delle relazioni istituzionali intese in senso largo, di fronte a un fenomeno che oggi conosciamo sicuramente meglio grazie al lavoro dei Pm e dei giudici. Proprio loro, unitamente a molti autorevoli studiosi ed esperti ci hanno consegnato un contributo fondamentale in questi anni: ci hanno insegnato fra l'altro che, al cospetto di uno scenario quale quello che abbiamo verificato nel reggiano, occorre avere il giusto mix di rigore, costanza e di lucidità per non lasciarsi travolgere ma per rendere sistemica una battaglia a favore dello Stato di Diritto, a difesa della democrazia". 

Libera: "Ndrangheta ben radicata in Emilia"
 "La sentenza di primo grado del processo Aemilia conferma che la 'ndrangheta emiliana è una realtà criminale che ha agito in modo autonomo e si è radicata profondamente in regione. Ora nessuno può più dire 'non sapevo' e chi continua a sottovalutare la presenza criminale o addirittura a negarla diventerebbe complice della presenza e del radicamento della organizzazione criminale nel territorio emiliano". Così Enza Rando, vicepresidente dell'associazione Libera, commenta la sentenza di primo grado del processo Aemilia. "Le infiltrazioni mafiose, che interessano questo territorio come ormai la maggior parte delle zone del Paese, si contrastano con la repressione e gli strumenti giudiziari - aggiunge -, ma il primo e imprescindibile strumento rimane il risveglio delle coscienze, l'orgoglio di una comunità che antepone il bene comune alle speculazioni e ai privilegi, contrastando in tutte le sedi la criminalità organizzata e i suoi complici".(ANSA). PSS-COM 31-OTT-18 18:35 NNNN