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ITALIA

Mafie, rapporto Dia: a Roma sodalizio criminale tra gruppi autoctoni e clan storici

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  Alcune delle formazioni criminali radicate in alcune aree della capitale e basate su stretti vincoli di parentela "evidenziano sempre di più modus operandi assimilabili alla fattispecie prevista dall'articolo 416 bis e funzionali alla gestione di attività illecite tipiche, come traffici di droga, usura, estorsioni e reati contro la persona". E' quanto segnala l'ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, ricordando che  "gli esiti investigativi e giudiziari degli ultimi anni continuano a dar conto di una realtà, quella romana, particolarmente complessa sotto il profilo delle infiltrazioni criminali, che vedono all'opera qualificate proiezioni delle organizzazioni di tipo mafioso italiane (siciliane, calabresi e campane in primis), che sono riuscite agevolmente ad adattarsi alle caratteristiche socio-economiche del territorio di elezione".     All'occorrenza, queste compagini criminali "sanno perfettamente intersecare i propri interessi non solo con i sodalizi di matrice straniera ma, anche, con le formazioni delinquenziali autoctone che, pur diverse tra loro, in termini di modello strutturale e di azione connessa all'esercizio del potere criminale, hanno adottato il modello organizzativo ed operativo di tipo mafioso, per acquisire sempre più spazi nell'ambiente territoriale di riferimento".   In tale contesto, ricorda la Dia, costituisce un vero e proprio "caposaldo giudiziario" nel contrasto alle organizzazioni criminali romane, la sentenza emessa dalla Cassazione il 26 ottobre 2017 nell'ambito dell'inchiesta "Nuova Alba", che ha riconosciuto la sussistenza del metodo mafioso adottato sul territorio di Ostia dalla famiglia Fasciani, annullando con rinvio la sentenza di secondo grado. Sempre nell'area di Ostia, "vasta eco mediatica ha avuto l'episodio che ha visto un esponente della famiglia Spada aggredire un giornalista che cercava di intervistarlo. A distanza di pochi giorni dall'accaduto, la Dda di Roma ha disposto il fermo, successivamente convalidato, dell'aggressore per lesioni e minacce, aggravate dal 'metodo mafioso'".    Ancora nella capitale, soprattutto nell'area del quadrante sud-est, "si segnala l'operatività del clan Casamonica, aggregato criminale 'storico', che poggia il suo potere su una solida base familiare. Tra le attività tipiche del sodalizio, le condotte usurarie ed estorsive, i reati contro la persona, i traffici di droga ed il reimpiego di capitali illeciti": uno spaccato confermato dall'operazione dei carabinieri che proprio ieri ha portato in carcere 33 esponenti dell'organizzazione.    


Cosa Nostra in cerca di un nuovo boss per il "dopo Riina"

A differenza di altre organizzazioni criminali, Cosa nostra "non puo' rinunciare a dotarsi di un nuovo capo". Ma la successione di Toto' Riina presenta "aspetti problematici" ed è "a rischio di forti tensioni che potrebbero sfociare in atti di forza, con pericolose ripercussioni nell'immediato". A lanciare l'allarme è l'ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, secondo cui nel frattempo "l'organizzazione continuerà verosimilmente ad essere caratterizzata da un 'organismo collegiale provvisorio', costituito dai capi dei mandamenti urbani piu' forti e rappresentativi, con funzioni di consultazione e raccordo strategico".    Improbabile, dicono gli analisti della Dia, che a succedere a Toto 'u curtu sia il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro, "pur essendo egli l'esponente di maggior caratura tra quelli non detenuti, ed in grado di costituire un potenziale riferimento, anche in termini di consenso, a livello provinciale". In primo luogo, "i boss dei sodalizi mafiosi palermitani, storicamente ai vertici dell'intera organizzazione, non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un'altra provincia". E poi Messina Denaro "negli ultimi anni, si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti Cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e, semmai, gli interessi relativi al proprio mandamento ed alla correlata provincia" (lo stesso Riina, intercettato in carcere, se ne era lamentato). C'è da tenere conto anche di "un generale senso d'insofferenza verso la leadership corleonese, ormai provata e decimata, la cui maggioranza è costituita da boss detenuti in espiazione di pene definitive all'ergastolo e ristretti in regime speciale". Né puo' escludersi che "giovani capi emergenti ed in via di affermazione sfruttino la situazione e cerchino spazi per imporsi, entrando in conflitto con anziani uomini d'onore". Nel conto, sempre secondo la Dia, vanno messe pure "le contraddizioni di un'organizzazione chiamata, oggi, a misurarsi con i discendenti dei cosiddetti 'scappati', i perdenti sopravvissuti alla guerra di mafia vinta dai corleonesi: per avere salva la vita, furono costretti a trovare rifugio all'estero, in particolar modo in Nord America, ma ora molti di loro, da qualche tempo tornati a Palermo, potrebbero pensare di consumare le proprie vendette, riappropriandosi del potere mafioso".    

'ndrangheta, una zona grigia che si mimetizza nell'economia legale

 C'e' "una 'zona grigia', fatta di esponenti della politica, delle istituzioni e dell'imprenditoria, che sono in grado di fornire alla 'ndrangheta il know how relazionale e professionale necessario per mimetizzarsi nell'economia legale. E' su questa base che vengono cementate alleanze affaristico-mafiose tra consorterie di diversa matrice". E' quanto rilevano gli analisti della Direzione investigativa antimafia nell'ultima Relazione semestrale (luglio-dicembre 2017).     "Per la 'ndrangheta - spiega il documento - non appartengono al passato, né devono essere relegati a mero fenomeno folkloristico, i riti iniziatici di affiliazione e di passaggio di 'grado'. Le più recenti acquisizioni investigative danno conto, infatti, di quanto essi siano tuttora indispensabili per definire appartenenza e gerarchie interne, per rafforzare il senso di identita' e per darle 'riconoscibilita'' all'esterno. Un modello organizzativo che consente alle cosche di espandersi in maniera unitaria e di accreditarsi con forza in quei 'circuiti' utili a condizionare scelte politiche e amministrative, regolare rapporti con imprese, enti, banche ed istituzioni": non a caso "sette degli 8 enti comunali sciolti, nel semestre, per infiltrazioni mafiose, sono calabresi, di cui due in provincia di Reggio Calabria".    

La camorra, che "non si vede" infiltrata nel tessuto economico
  L'interesse di giornali e tv è calamitato dalla conflittualità tra gruppi rivali, spesso formati da giovanissimi, ma "lontano dai riflettori" crescono le infiltrazioni della camorra nell'economia e nella pubblica amministrazione. A metterlo in evidenza è la Relazione Dia relativa all'attivita' svolta nel secondo semestre 2017, sottolineando come in Campania la criminalità organizzata di tipo mafioso si confermi "fenomeno caratterizzato da equilibri mutevoli e in continua trasformazione, in ragione di un tessuto delinquenziale piu' che mai complesso".     A Napoli, ad esempio, convergono nuove e storiche aggregazioni criminali (Licciardi, Contini e Mallardo), "cartelli" che -mimetizzandosi sul territorio - hanno creato, nel tempo, "veri e propri apparati imprenditoriali, in grado di influenzare ampi settori dell'economia, locale e nazionale (giochi, ristorazione, comparto turistico-alberghiero, edilizia, rifiuti)". Pertanto, "la rilevanza mediatica che producono i numerosi e gravi episodi criminosi (agguati, sparatorie, intimidazioni), verificatisi soprattutto nella citta' di Napoli e nell'area a Nord, non deve indurre ad un'analisi della camorra che limiti la lettura del fenomeno alla matrice delinquenziale di più basso profilo, caratterizzata dallo scontro tra bande rivali, costituite da nuove, giovani leve, prive di caratura criminale. Al contrario, non devono essere ignorate le dinamiche che interessano sodalizi apparentemente assenti e che, al contrario, operando lontano dai riflettori, godono di tutti i benefici tattico-strategici che ne conseguono".