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MONDO

L'analisi di Marco Lombardi

Brochure turistiche e comunicazione, lo "Stato islamico" e la strategia del terrore

Marco Lombardi - docente di Gestione della Crisi e della Comunicazione del Rischio e direttore di ITSTIME, l’osservatorio sui temi della sicurezza e del terrorismo dell’Università Cattolica di Milano - spiega gli obiettivi e l'organigramma dello "Stato Islamico" tramite le sue scelte comunicative

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di Veronica Fernandes
Virale e pianificata, una sorta di marketing del terrore. La strategia comunicativa dello "Stato Islamico" racconta molto del movimento jihadista che, lo scorso 29 giugno, ha proclamato il Califfato nei territori conquistati in Siria e in Iraq. E per farlo ha deciso di diffondere sul web un comunicato stampa.

Message to America: la decapitazione di Foley 
Due mesi più tardi, dopo la decisione del presidente Obama di effettuare raid aerei in Iraq, la risposta dello Stato Islamico è stata affidata alle immagini dell’uccisione del giornalista freelance James Foley. Intitolato Message to America, il video ha fatto il giro dei social network e quindi del mondo. 

Il primo livello comunicativo: la minaccia
Un atto di forza e intimidatorio: “Il messaggio è chiaro ed è rivolto agli Stati Uniti e a chi li attacca sul campo – spiega Marco Lombardi, docente di Gestione della Crisi e della Comunicazione del Rischio e direttore di ITSTIME, l’osservatorio sui temi della sicurezza e del terrorismo dell’Università Cattolica di Milano – ma è solo uno dei tre livelli della loro strategia”.

Il reclutamento dei foreign fighters sui social network
Il secondo livello esce dal luogo fisico della guerra sul campo e si sposta sul web: “E’ la promozione, principalmente su Facebook – spiega Lombardi, che da oltre vent’anni monitora il terrorismo con particolare attenzione alle sue evoluzioni comunicative – dei foreign fighters, i jihadisti reclutati in Occidente – e punta sull’emulazione”. Il target in questo caso sono i giovani, soprattutto di seconda generazione, vogliono attrarli e portarli sul campo. Usano Facebook – che però sta attuando forme di censura – per attivare in loro un sentimento di emulazione, di desiderio di sfida, una call to action in linguaggio mediatico. Volendo parlare al mondo – e non più solo in arabo – i jihadisti che parlano inglese o altre lingue, basta pensare a quello che ha decapitato Foley, hanno un ruolo strategico.

Le brochure per attirare le famiglie: la stabilizzazione del Califfato
E poi c’è l’obiettivo di stabilizzare le conquiste sul campo. La contronarrativa del terrore, per usare le parole di Lombardi: “E’ il terzo livello quello che parla ai combattenti e in particolare alle famiglie, che vuole mostrare lo Stato Islamico come un posto in cui trasferirsi, vivere insieme a moglie e figli”. E per farlo la macchina mediatica del Califfato ha prodotto una brochure fotografica. Niente armi né campi di battaglia, non ci sono né morti né feriti, lo "Stato Islamico" - già noto per essere quello che meglio paga i suoi combattenti - viene mostrato come il posto ideale in cui vivere: campi di grano che vogliono dire lavoro, orde di bambini a scuola che vogliono dire istruzione per i figli, forni pieni di pane e allevamenti che vogliono dire che non si soffre la fame e il lavoro non manca. E poi moschee, negozi, acqua potabile distribuita a tutti, strade asfaltate. Il tutto gestito da uffici pubblici sul cui tetto troneggia la bandiera nera del Califfato. Utilizzando il motto dell’osservatorio – Think Terrorist – cosa si può capire dello "Stato Islamico"? “Rafforzato dalla lentezza di intervento dell’Occidente – spiega Lombardi – sta anticipando con la comunicazione i suoi obiettivi e cioè stabilizzare i confini e per la prima volta rendere il Califfato un luogo fisico, un luogo in cui voler abitare, amministrato in modo efficiente, non dimentichiamo che già quando si chiamava Isis era diviso in province”.

Dove si formano i comunicatori del terrore
Le "agenzie di comunicazione del terrore" sono come tutte le altre, le figure professionali sono le stesse, dal producer al montatore. Agiscono sul base ideologica e praticamente volontaristica, si mettono al servizio della causa. Una volta giravano video in analogico con roccia e deserto di sfondo, oggi si diversifica: resistono i DVD per le zone dove la connessione è debole, per il resto la comunicazione è velocissima e virale grazie agli smartphone e agli account su Facebook, Twitter e Instagram. E rivela la dieta culturale del movimento: colonna sonora e montaggio da film di guerra, B movies, grafica da videogames sparatutto. E chi li realizza? “Spesso – conclude Lombardi – sono persone che si sono formate in Occidente oppure nelle università arabe dove l’occidente ha introdotto gli strumenti mediatici che poi loro hanno deciso di applicare al terrorismo”.