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ITALIA

Brunetta e Letta annunciano querele

Inchiesta Mose, giorni decisivi. Vertice in Procura per decidere le prossime mosse

I magistrati dicono no all'incontro del sindaco Orsoni, ai domiciliari, con il suo vice. Anche Tosi citato nelle carte per un finanziamento "regolare"
 

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A "parlare" nell'inchiesta Mose adesso sono le carte, migliaia e migliaia di atti e trascrizioni di interrogatori raccolti in una quindicina di faldoni su cui adesso dovranno lavorare gli avvocati della difesa. Pagine da cui spuntano decine di nomi, anche di politici o amministratori locali, che non risultano indagati e che affidano a smentite ogni possibile accostamento del loro nome alle indagini in corso. "Non avendo nulla da nascondere e non avendo mai percepito alcunché, sono in attesa di essere sentito dai magistrati di Venezia, per illustrare la mia posizione e fornire ogni chiarimento richiesto", ricorda l'ex ministro Altero Matteoli, la cui posizione è stata inviata al tribunale dei ministri. Sono pronte una raffica di querele in risposta alle affermazioni messe a verbale nell'inchiesta: anche Gianni Letta e Renato Brunetta, non indagati, hanno dato mandato agli avvocati di presentare una denuncia.

"A sostegno della mia campagna elettorale per le comunali veneziane del 2010 - dice in un passo Brunetta - è stato deliberato un contributo elettorale, e per di più non dal Consorzio Venezia Nuova, regolarmente contabilizzato e dichiarato secondo la legge, e nient'altro". Nelle carte, Piergiorgio Baita, l'ex ad di Mantovani, cita anche Flavio Tosi in relazione a un rimborso dato a Luigi Dal Borgo per un finanziamento regolare che questi avrebbe fatto al sindaco di Verona per quindicimila euro. Tosi ha replicato dicendosi tranquillo e di aver depositato "l'elenco dei finanziatori presso la Procura della Repubblica di Verona per garantirne comunque un autorevole controllo". Inutile cercare eventuali conferme, smentite o precisazioni in Procura. La linea è quella del "silenzio" dopo quella che dagli interessati viene definita una "sovraesposizione mediatica degli uffici".

Il procuratore capo Luigi Delpino ha dato severe disposizioni affinché gli uffici siano aperti ai soli "addetti ai lavori". La stampa è stata rigorosamente e garbatamente messa alla porta. In Procura si può accedere solo con il pass del personale. Anche le porte tagliafuoco sono state chiuse. Intanto, la "macchina" dell'inchiesta sul "malaffare" legato ai lavori del Mose non conosce sosta. Si scava sulla rete dei rapporti per creare fondi neri tra le imprese coinvolte, grandi o piccole e tutte facenti parte della galassia manovrata da Giovanni Mazzacurati; si cercano ulteriori riscontri per supportare il troncone "politico-affaristico", quello che chiama in causa ad esempio Giancarlo Galan. La posizione del parlamentare, su cui pende una richiesta di arresto, dovrebbe essere da mercoledì all'esame della Commissione per le autorizzazioni della Camera, ma in Procura si respira un clima di attesa.

I magistrati devono decidere se accogliere o meno la richiesta di poter rilasciare dichiarazioni spontanee avanzate dall'ex governatore veneto, attraverso i suoi legali Niccolò Ghedini e Antonio Franchini. Pesa intanto come un macigno su Venezia il risvolto "amministrativo" causato dall'arresto ai domiciliari del sindaco Giorgio Orsoni. L'accusa è finanziamento illecito: soldi che sarebbero stati dati dal Consorzio in campagna elettorale una volta visto che era il "cavallo vincente". Lunedì, un infuocato consiglio comunale ha dato il segno dell'incertezza politica. A tenere salda la maggioranza c'è la necessità di approvare il bilancio e chiudere altre partite considerate decisive per il futuro di Venezia. Molti dei "dossier" caldi erano in mano allo stesso sindaco e per questo il vice Sandro Simionato ha chiesto di poterlo incontrare. La Procura ha detto di no.