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ITALIA

La ricostruzione della vicenda

Omicidio Vannini, le tappe e i conti che non tornano

Il capo d'accusa che da omicidio volontario diventa colposo, il ritardo dei soccorsi, le bugie per nascondere lo sparo, le testimonianze discordanti, i depistaggi, le ingiustizie, la rabbia dei genitori di Marco: tutte le tappe del processo e della morte di un ragazzo che, se curato in tempi e modalità giusti, si sarebbe potuto salvare

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La versione ufficiale è quella che conosciamo tutti. Marco Vannini, la sera del 17 maggio 2015, si trova nella vasca da bagno a casa dei Ciontoli, la famiglia della fidanzata Martina. Il padre della ragazza, Antonio Ciontoli, entra nel bagno per riporre due pistole nell'armadietto di fronte alla vasca dove è immerso Marco. Il ragazzo gli chiede di fargli vedere le pistole: l'uomo, per gioco, gliene punta una davanti e preme il grilletto pensando che sia scarica. Il colpo però parte e ferisce Marco. Il proiettile gli si conficca sotto la parte destra del braccio e penetra il suo corpo fino alla schiena restando dentro e provocandogli una emorragia interna oltre che un rigonfiamento, chiamato ogiva, che indica la presenza del proiettile. 

Le telefonate al 118
Le telefonate al 118 quella sera sono due. La prima la fa Federico, il fratello di Martina, che dice all'operatrice che Marco ha avuto un momento di panico, ha difficoltà a respirare ed è diventato bianco. Poi interviene la madre al telefono dicendo che l'ambulanza non serve e riaggancia. La seconda telefonata la fa Antonio Ciontoli. Stavolta dice che il ragazzo è caduto nella vasca e si è bucato il braccio con un pettine a punta. In sottofondo si sentono le urla strazianti di Marco ma il Ciontoli continuerà a dire che era preso dall'ansia, omettendo del tutto la vicenda della pistola e del colpo di proiettile. 

Il proiettile
Arriva l'auto medica, poi arriva l'ambulanza. Finalmente viene fuori la verità. Marco è stato colpito da un proiettile. È Antonio Ciontoli a dirlo all'infermiera dell'ambulanza, chiedendole riservatezza per paura che si possa sapere in giro. L'infermiera si arrabbia, avrebbero dovuto dirlo subito. Da codice verde si passa al codice rosso. Il protocollo cambia. Il ragazzo viene portato al PIT di Ladispoli d'urgenza. Ma ormai, tra le telefonate, le bugie e le attese, è passato troppo tempo. L'emorragia interna si è diffusa. Per Marco non c'è più niente da fare. 

L'interrogatorio
La famiglia Ciontoli passa la nottata nel Commissariato di Civitavecchia. Vengono interrogati Antonio Ciontoli, sua moglie Maria Pezzillo, i due figli Martina e Federico e la fidanzata di Federico. Tutte le loro testimonianze verranno poi smentite, riviste, cambieranno le versioni molte volte da lì in poi. Ma quella sera la tensione è palpabile. I familiari in sala d'attesa si confrontano rispetto a come hanno risposto alle domande degli agenti. Sembra che su certe cose si mettano d'accordo. Qualcosa sicuramente non torna. Come ad esempio la posizione dei familiari nella casa al momento dello sparo. Inizialmente sembra che nel bagno ci fosse solo Marco e poi fosse entrato il padre, poi invece anche la fidanzata Martina dice di trovarsi lì, poi fa un passo indietro, dice che non c'era e non ha visto. Nessuno dice di aver visto. Anche se nelle registrazioni delle telecamere nella sala d'attesa, Martina fa una ricostruzione dettagliata di quello che è successo, proprio come se avesse assistito.

I processi e le condanne
La prima sentenza condanna Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario e gli altri a 3 anni per omicidio colposo. L'omicidio è volontario non tanto per quanto riguarda l'atto dello sparo, ma piuttosto per la volontà di ritardare i soccorsi pur sapendo che così facendo si sarebbe arrivati alla morte di Marco. In questo, secondo i giudici, sta il dolo dell'azione di Ciontoli. La seconda sentenza riconosce invece l'ingenuità dell'uomo e in generale di tutta la famiglia. Non c'è più il dolo perché subentra la mancata consapevolezza che il colpo sia veramente partito. Per questo motivo l'accusa da omicidio volontario si trasforma in omicidio colposo e la pena viene ridotta a soli 5 anni per Ciontoli. Quest'ultimo dice di non sapere come si usa un'arma, di non saper vedere se ci sono i colpi dentro, di essere totalmente lontano dalla conoscenza delle armi da fuoco. Peccato che lui sia un militare, abbia lavorato per una cellula dei servizi segreti e che possieda legalmente delle armi di servizio. Anche il figlio sapeva usare le armi. Infatti dichiara che, dopo il colpo esploso dal padre in bagno, ha preso le pistole, le ha messe in sicurezza e le ha riposte sotto il materasso.