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SALUTE

prof. Luca Stanca, docente di Economia e Statistica Univ. Bicocca Milano

+soldi -relazioni = infelicità²

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Milano
Professore si dice che i soldi non facciano la felicità, anche se ci sono parecchi poveri che avrebbero piacere ad essere infelici ma almeno con lo stomaco pieno. Poi è arrivato il paradosso di Easterlin, e l'economia si è incaricata di spiegare che davvero, dopo una certa soglia, risulta indifferente per l'individuo possedere di più. È davvero così?
In realtà il Paradosso di Easterlin riguarda la relazione tra reddito e felicità nel corso del tempo. Easterlin ha mostrato empiricamente che per un singolo individuo, o per una data nazione, all’aumentare del reddito non si osserva un maggiore benessere soggettivo nel corso del tempo. Le principali spiegazioni di questo paradosso si basano sul fatto che gli effetti di una data condizione oggettiva, come il livello di reddito o di ricchezza, dipendono dal termine di riferimento che utilizziamo per valutare tale condizione. In sostanza, la mia percezione di benessere dipende non solo da quanto guadagno oggi, ma anche da quanto ho guadagnato in passato (adattamento), da quanto mi aspettavo di guadagnare (aspettative), e da quanto guadagnano gli altri (confronto posizionale). Un’ulteriore spiegazione del paradosso di Easterlin riguarda l’impoverimento dei rapporti interpersonali: il miglioramento delle condizioni economiche è spesso accompagnato da una minore quantità e peggiore qualità dei rapporti umani, che contribuisce a spiegare il mancato aumento del benessere soggettivo.

Viviamo in un mondo fortemente sperequato, in cui la ricchezza si concentra nelle mani di pochissime persone: secondo Oxfam, l'1% detiene metà della ricchezza di tutto il pianeta. In Italia come stiamo messi? E perché queste persone vogliono essere tanto "infelici", continuando ad accumulare ben oltre i loro bisogno e quanto potrebbero spendere o consumare?
La relazione tra disuguaglianza e benessere soggettivo è un tema molto controverso. Sia a livello teorico che a livello empirico è ampiamente dimostrato che la relazione tra reddito e benessere presenta ciò che gli economisti chiamano rendimenti marginali decrescenti: gli effetti del reddito (o della ricchezza) sulla felicità diminuiscono all’aumentare del reddito. Questo implica che, dato un certo livello di reddito complessivo, una più equa distribuzione del reddito tra gli individui contribuisce ad aumentare il benessere soggettivo nel complesso. D’altro canto, l’aspettativa di una minore disuguaglianza ha un duplice effetto negativo sul benessere delle persone. Il primo effetto, di tipo diretto, riguarda il valore che le persone attribuiscono alla possibilità di competere e differenziarsi dagli altri. Il secondo
effetto, di tipo indiretto, consiste nel fatto che, a livello aggregato, minore disuguaglianza è generalmente associata a minore reddito complessivo. Non è possibile quindi affermare univocamente che ridurre la disuguaglianza aumenti la felicità, né che esista un livello ottimo di disuguaglianza.

In una sua ricerca lei ha dimostrato che il volontariato rende felici: si producono beni e servizi, ma senza tornaconto personale, che tipo di economia è questa? E soprattutto, questo paradigma può essere applicato al di là della scelta personale, producendo un vero e proprio circuito economico?
Uno dei risultati più interessanti dei recenti studi su economia e felicità è che beni e servizi che non hanno un mercato possono avere un grande valore per il benessere delle persone. Può apparire scontato, ma non lo è affatto. La visione tradizionale degli economisti ha portato a misurare il valore soprattutto attraverso i prezzi di mercato. Questo ha comportato in passato, più o meno inconsapevolmente, una tendenza a sovrastimare l’importanza di quanto viene scambiato sul mercato a scapito di quanto invece non ha mercato. Un altro risultato molto interessante che emerge dalla recente letteratura empirica è che, tra le diverse attività di volontariato, hanno una relazione più forte con il benessere soggettivo le attività basate sulla motivazione intrinseca, sulle motivazione ideali di tipo generale, piuttosto che sugli interessi di singoli gruppi. E’ una piccola rivoluzione: in molti casi, minore è l’interesse personale in una data attività, maggiore è il benessere che l’individuo ottiene da essa.

In questa logica, andrebbe superato il parametro e lo stesso concetto di prodotto interno lordo, per misurare il benessere di una popolazione?
Il Prodotto Interno Lordo non va superato, né abbandonato, ma piuttosto integrato con indicatori che forniscano una descrizione più completa del benessere delle persone. Il quasi monopolio di indicatori di tipo oggettivo, come il PIL, deriva da una tradizionale sfiducia da parte degli economisti nella possibilità di utilizzare indicatori di tipo soggettivo (basati cioè sulle risposte delle persone). Oggi questo atteggiamento sta cambiando, e in tutto il mondo, nelle istituzioni economiche sia nazionali che internazionali, si è passati ad un approccio multi-dimensionale per la misurazione del benessere. Si tratta di un processo finalmente ben avviato, che richiede una sempre più stretta interazione tra la comunità scientifica e i responsabili della politica economia.

In questa epoca post- ideologica, in cui la storia si è incaricata di dimostrare il fallimento delle grandi utopie di "potere operaio", qual è la strada per le grandi masse di lavoratori per sperare di essere felici
Non esistono ricette semplici ed universali per essere felici. Esiste invece, dopo quasi trent’anni di studi sul rapporto tra economia e felicità, una maggiore consapevolezza sul ruolo svolto da fattori di tipo demografico e socio-economico per la felicità delle persone. Allo stesso modo, la letteratura ha consentito di quantificare il valore economico di beni non scambiati sul mercato, come la qualità dei rapporti interpersonali o dell’ambiente in cui viviamo. Le implicazioni di policy sono importantissime, e stanno cambiando il modo in cui si prendono le decisioni politiche a tutti i livelli. Quanto alle persone, l’implicazione principale è il superamento dell’idea che la felicità sia dovuta al caso (happiness, to happen, accadere), e il riavvicinamento al concetto aristotelico di eudaimonia, in base al quale “il bene dell’uomo consiste in un’attività dell’anima secondo la sua virtù”. Personalmente, credo molto nel valore della conoscenza, e amo trasmettere ai miei studenti il messaggio, universale e più che mai attuale, contenuto nelle parole di Virgilio nelle Georgiche: "Felix qui potuit rerum cognoscere causas".