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POLITICA

Le crisi del passato

Si studiano i precedenti: le crisi di Craxi e Andreotti, le sostituzioni di Ciampi

Il patto della staffetta tra Psi e Dc, e le sostituzioni di massa dei ministri

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Si cerca nel passato politico dell'Italia uno spaccato che possa adattarsi a quanto si sta verificando oggi e che possa descrivere gli scenari che potrebbero aprirsi in caso di crisi di governo. Vicende che rimandano ad un passato non recente, a contesti storici completamente diversi, a protagonisti e a partiti che hanno segnato la storia d'Italia, a dinamiche, equilibri, sistemi che certo non automaticamente possono essere trasposti ai giorni nostri.

Bettino Craxi e Giulio Andreotti
Sono due tra i premier più longevi e hanno attraversato fibrillazioni della maggioranza come quella attuale e crisi di governo difficili e complesse che per certi aspetti ricordano quella che potrebbe aprirsi a breve. Il 26 giugno del 1986 il governo guidato dal leader socialista va sotto alla Camera per opera dei franchi tiratori. Il giorno seguente, dopo aver riunito il Consiglio dei ministri, il premier si dimette. La crisi si protrarrà per 35 giorni con un incarico esplorativo al presidente del Senato, Amintore Fanfani, ed un incarico a Giulio Andreotti.

Il patto della staffetta
Alla fine però il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, incaricò di nuovo Craxi, che il primo agosto insediò il suo secondo governo, basato sul cosiddetto patto della staffetta, che di lì ad un anno avrebbe dovuto portare a palazzo Chigi un esponente della Dc. Ma l'anno successivo, il 3 marzo, dopo le dimissioni del premier, l'incarico a Giulio Andreotti si risolse in un nulla di fatto e si andò a elezioni anticipate.

Dimissioni di massa
Il leader Dc arrivò a palazzo Chigi il 22 luglio 1989 e un anno dopo, nel pieno della discussione della legge Mammì sull'emittenza, dovette far fronte alle dimissioni di cinque ministri del suo stesso partito, esponenti della cosiddetta sinistra interna: il 27 luglio del 1990 lasciarono infatti i loro incarichi Riccardo Misasi (Mezzogiorno), Sergio Mattarella (Pubblica istruzione), Mino Martinazzoli (Difesa), Calogero Mannino (Agricoltura), Carlo Fracanzani (Partecipazioni statali), subito rimpiazzati da Andreotti, rispettivamente, con Giovanni Marongiu, Gerardo Bianco, Virginio Rognoni, Vito Saccomandi e Franco Piga. Ci furono vari passaggi parlamentari, legati anche alla discussione del provvedimento che generò il rimpasto. Il governo il 28 luglio ottenne la fiducia alla Camera sulla risoluzione della maggioranza che approvava le comunicazioni del presidente del Consiglio. Il giorno dopo un'altra fiducia sul provvedimento.

Nuove defezioni
Stesso copione al Senato, dove il primo agosto il governo pose e ottenne la fiducia sull'ordine del giorno presentato dalla maggioranza che approvò le comunicazioni dell'esecutivo. Poi nei giorni successivi via libera ad altri due voti di fiducia sempre relativi alla legge Mammì. Andreotti nel 1991 dovette fare i conti con un'altra defezione all'interno della compagine governativa, che stavolta però portò alla crisi di governo e alla nascita del suo settimo e ultimo gabinetto. Il 29 marzo fu costretto a dimettersi per il ritiro dei ministri del Pri. Dopo aver riottenuto l'incarico, diede vita a un esecutivo senza ministri repubblicani, sostenuto da Dc, Psi, Psdi e Pli che arrivò al termine della legislatura nel 1992.

La vicenda Ciampi
Da ricordare anche la vicenda particolare del governo di Carlo Azeglio Ciampi, il primo presieduto da un non parlamentare. Dopo il giuramento del 28 aprile del 1993 e prima ancora di presentarsi alle Camere, il 4 maggio sostituì i ministri dimissionari Augusto Barbera, Vincenzo Visco e Luigi Berlinguer, indicati dal Pds, e Francesco Rutelli (all'epoca nei Verdi), che lasciarono il governo dopo il no della Camera, il 29 aprile, all'autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi. Quindi si presentò in Parlamento, ottenendo la fiducia dalla Camera il 7 maggio e dal Senato il 12 maggio, con l'astensione del Pds.