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SCIENZA

Università di Okayama

Il robot sottomarino che vede in 3D

Prototipo giapponese per l'esplorazione oceanica: potrebbe svolgere missioni lunghissime in perfetta autonomia

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di Stefano LamorgeseRoma
Un team di ricerca della Okayama University, nell'omonima città dell'isola di Honshu, ha messo a punto il prototipo di un robot esplorativo marino di nuova generazione.

Si tratta di una macchina dotata - è la prima volta - di un sistema di riconoscimento tridimensionale degli oggetti, capace di "lavorare" da sola per lunghi periodi: sembrerebbe proprio lo strumento ideale per le esplorazioni oceaniche.

Autonomous Underwater Vehicle (AUV)
«Il nostro nuovo veicolo" spiega il professor Mamoru Minami, docente di Scienze naturali e tecnologia della Okayama University "utilizza una innovativa combinazione di tecnologie MOV (Move on Sensing) e CCD (i sensori che permettono di "vedere" in 3D)».

Il robot sottomarino sarà quindi capace di ricercare, monitorare e individuare obiettivi con una precisione di 5 mm. Ma l'obiettivo è andare oltre: «Ci aspettiamo di poter rivare a una precisione dell'ordine di 0,5 mm; proprio quello che abbiamo ottenuto con i robot a terra» conclude il professor Mamoru Minami.

Obiettivi
Il nuovo strumento di ricerca è stato pensato per settori molto diversi tra loro: la decontaminazione dei fondali colpiti da fughe radioattive (si pensi a Fukushima); l'esplorazione di fondali oceanici per individuare idrocarburi o metalli rari; le operazioni di manutenzione dei cavi sottomarini; il monitoraggio e l'osservazione biologica; lo sminamento subacqueo; il ricupero di detriti spaziali; e, infine, le operazioni di salvataggio dei palombari o dei sommmozzatori specializzati negli alti fondali.

Prototipo promettente
Il prototipo è stato testato in una piscina di piccole dimensioni: 2x3 metri con una profondità di appena 75 cm. L'apparecchio ha raggiunto con successo un target costituito da un cilindro di soli 7 cm. di diametro: le stesse dimensioni della batteria che lo alimenta.

Questa operazione è stata immaginata proprio per prospettare una capacità di "autioricarcia" del robot, tale da renderlo "autonomo" per lunghi periodi d'impiego.