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SCIENZA

Riscaldamento globale

Quando gli USA saranno sott'acqua

Una nuova ricerca comparativa mette in luce i rischi enormi che correranno le città costiere degli USA se non si taglieranno in fretta le emissioni di CO2

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di Stefano Lamorgese
Si chiamano: Benjamin H. Strauss (dell'organizzazione indipendente Climate Central), Scott Kulpa (dell'Istituto di ricerca climatologico di Potsdam) e Anders Levermann (Istituto di Fisica dell'Università di Potsdam); hanno realizzato una meta-ricerca (cioè una comparazione ponderata dei dati tratti da decine di altri studi), sugli effetti dell'innalzamento del livello dei mari sul suolo americano: "Carbon choices determine US cities committed to futures below sea level" (Le scelte sul carbonio determineranno quali città degli Stati Uniti finiranno sotto il livello del mare).



Il quadro generale che ne deriva è drammatico.
Innanzi tutto c'è una smentita: non è detto che, se si riuscirà a contenere entro i 2°C l'aumento delle temperature globali nel 2100, l'innalzamento del livello dei mari non superi il metro. Esisterebbero prove paleontologiche tali da far considerare tale previsione esageratamente ottimistica.

Sembrerebbe d'altra parte certo che - se tale limite verrà superato e se quindi si continuerà a immettere carbonio nell'atmosfera ai ritmi attuali - l'innalzamento dei mari potrebbe oscillare tra i 4,3 e i 9,9 metri.

L'apocalisse
Sarebbe - sarà, viene da pensare - la fine per centinaia di comuni costieri degli Stati Uniti, che verrebbero sommersi dalle acque. Sulla base di dettagliati dati topografici e demografici gli studiosi hanno tracciato le linee di marea e hanno calcolato che saranno 20 milioni le persone coinvolte da tale stravolgimento. Subirebbero pesanti influenze quasi 1200 località costiere: tra queste 21 città con più di 100mila abitanti.

Solo un deciso taglio alle emissioni di carbonio in atmosfera potrebbe mutare questo scenario, riducendo della metà il numero delle località coinvolte e anche l'entità delle popolazioni colpite.

Ma anche questo è un aspetto delle previsioni che dipende quasi interamente dalla resilienza della calotta glaciale antartica: solo se gli strati profondi resisteranno al riscaldamento si potrà "contare" sul Polo Sud.