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SCIENZA

Petrolio

Raffinerie ecologiche: ci siamo quasi

Nuova tecnologia di raffinazione messa a punto sperimentalmente al MIT (Usa) grazie a una ricerca finanziata dalla compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco

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di Stefano Lamorgese
Le energie alternative ai combustibili fossili segnano, una dopo l'altra, significativi progressi tecnologici; anche per questo godono, presso l'opinione pubblica, di un perdurante successo d'immagine e di prospettiva.

Tuttavia, soprattutto nel campo dei trasporti, i combustibili derivati dal petrolio continuano ad avere caratteristiche vincenti sia per la loro altissima concentrazione energetica sia per la loro versatilità. Mercato solidissimo e ricchissimo, quello del petrolio, che però è costretto a un'evoluzione significativa per tenere il passo dei suoi antagonisti.

Petrolio "cattivo"
Il problema del petrolio del terzo millennio è che - esauriti i giacimenti "facili", ricchi di olio di ottima qualità e facile da raffinare - oggi vengono sfruttati depositi sempre più profondi e antichi, grandi e stracolmi - è vero - ma pieni di materia prima densissima, pesante, catramosa. Tanto che, raffinandola, si ottengono sempre più prodotti di scarto e una progressivamente crescente quantità di zolfo.

Per eliminare lo zolfo, le raffinerie devono utilizzare l'idrogeno, che è estratto dal metano, sempre disponibile nei campi petroliferi. Questo processo comporta costi elevatissimi sia dal punto di vista economico che ambientale: si scompone il metano (che non può più essere utilizzato come combustibile), si emettono in atmosfera grandi quantità di composti a base di zolfo e infine si produce un'enorme quantità di anidride carbonica, il gas più letale per la salute della nostra surriscaldata atmosfera.

Si tratta di un problema molto serio. Così, dall'alto dei suoi quasi 380 miliardi di dollari di fatturato, la compagnia petrolifera saudita - Saudi Aramco - affronta l'emergenza finanziando ricerche e studi che possano garantire all'unica (ed enorme) ricchezza di Riyadh una prospettiva di lungo termine compatibile con le mutate sensibilità ecologiche del mercato.

La novità
Una svolta in questo campo potrebbe venire dal MIT, il celebre Massachusetts Institute of Technology, dove un gruppo di ricercatori - finanziati dai sauditi, appunto - ha individuato una promettente tecnologia per estrarre carburanti raffinati dal greggio senza utilizzare il metano. Un cambiamento che potrebbe ridurre drasticamente i costi il consumo d'energia del processo di raffinazione nonché abbattere le emissioni di anidride carbonica.

Acqua "supercritica"
Il nuovo processo di lavorazione si basa sulla miscelazione "forzata" del petrolio greggio con acqua, fenomeno che avviene solo in condizioni estreme. Portando, cioè, l'acqua allo stato "supercritico" (pressione di 220 atmosfere e temperatura di 375°C) e poi miscelandola al greggio. Tali condizioni comportano una reazione chimica di separazione degli olii dai composti di zolfo che, costretti allo stato gassoso, possono essere facilmente asportati.

L'idea di andare a prendere l'indispensabile idrogeno non più dal CH4 (metano: un atomo di carbonio e quattro di idrogeno), ma dal H2O (acqua: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno), significa prendere due piccioni con una sola fava. Si ricupererebbe il metano prima "sprecato" e si abbatterebbe il CO2 finora emesso.

I protagonisti
Un'intuizione che è venuta in mente al professor Ahmed F. Ghoniem e al suo collega William Green che, con i loro rispettivi team, hanno sperimentato il processo giungendo alla conclusione che, se si riuscirà a tenere sotto controllo le reazioni chimico-fisiche innescate dal loro sistema, l'industria del petrolio avrà scovato, quasi in extremis, il suo uovo di Colombo.