CULTURA
Intervista al Professor Raoul Pupo per i 10 anni dalla legge
Il Giorno del Ricordo, la memoria salvata
"Il 10 febbraio - dice il professore di Storia contemporanea all'Università di Trieste - non basta per colmare ferite di questo tipo, non può essere considerato un indennizzo totale per le vittime delle Foibe e dell'esodo. Ma ora la memoria è stata recuperata e salvata, è importante"

10 febbraio, Giorno del Ricordo per le vittime delle Foibe e dell'esodo giuliano dalmata. Migliaia di morti, centinaia di migliaia di esuli costretti ad abbandonare non solo le proprie terre, ma anche a recidere le proprie origini, quelle della Venezia Giulia e della Dalmazia. Costretti ad abbandonare un territorio non più italiano, ma jugoslavo a seguito del trattato di pace del 1947. Il silenzio su questa triste vicenda è durato oltre 60 anni. Si è interrotto solo negli anni Novanta e poi con una legge, nel 2004, che istituisce il Giorno del Ricordo, il 10 febbraio. In occasione di questa ricorrenza, a 10 anni dalla legge, Rainews.it ha intervistato Raoul Pupo, uno tra i massimi conoscitori dell'argomento e docente di Storia contemporanea all'Università di Trieste.
Professore, perchè un silenzio così lungo per una strage così grande?
"Non ci fu un silenzio immediato. Nel primo decennio della Repubblica il tema era aperto perchè era ancora aperta la questione di Trieste. Se ne parlò fino agli anni Cinquanta poi, essendo una storia dolorosa, che rimandava alla guerra, alle sofferenze, nessuno aveva voglia di parlarne. La Jugoslavia si stava trasformando da nemico storico in un vantaggio strategico per l'Italia perchè era il cuscinetto sulla prima linea della Guerra Fredda. Queste storie potevano dare fastidio a molti. Fino agli anni Ottanta non se ne parlò quasi. Dagli anni Novanta ricominciò ad esserci interessamento da parte della politica. Con la fine del comunismo la politica ha iniziato a interessarsi di molte storie, e questa fu una di quelle".
E' sufficiente, secondo lei, il giorno del Ricordo?
"No, non basta per colmare ferite di questo tipo. C'è stata gente che ha perso tutto, familiari, affetti. Ma il Giorno del Ricordo ha un obiettivo importante: reintegrare nella memoria nazionale la memoria di chi da quella tragedia era stato così duramente colpito. Prima del Giorno del Ricordo si cercava di recuperare una memoria che stava scomparendo. Ora questo non c'è più, la memoria è stata recuperata e salvata".
L'8 settembre 1943 l'esercito italiano si dissolve: che succede?
"In queste zone esisteva un contropotere del movimento partigiano sloveno e croato che aveva creato poteri popolari e proceduto all'epurazione dei nemici del popolo; nel caso della Venezia Giulia si parlava della classe dirigente italiana. Soprattutto nel centro dell'Istria: centinaia di arresti e di morti. Non fu una una vendetta collettiva, ci fu un progetto politico, chi era contrario al progetto doveva essere eliminato".
Il massacro si ripete nella primavera del '45 con l'occupazione di Trieste da parte delle truppe di Tito. Chi furono le vittime?
"Tutti coloro che ebbero a che fare con il regime fascista, con lo Stato italiano, antifascisti, e tutti coloro che erano contrari all'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Tutti considerati nemici del popolo. Sono moltissimi: tra questi vennero selezionati 10-12mila persone tra Trieste e Gorizia, alcuni imprigionati, alcuni uccisi subito, alcuni tornarono".
Tra le vittime ci furono anche i membri del Cln, ossia del Comitato di liberazione nazionale?
"Sì, scomparvero anche loro: erano antifascisti ma contrari all'annessione alla Jugoslavia. Ci furono vittime anche tra i giovani militanti delle brigate partigiane italiane. Non fu solo una punizione per il fascismo, ma una epurazione politica nei confronti di chi veniva percepito contrario al progetto jugoslavo".
Parliamo dell'esodo. Migliaia e migliaia di persone costrette ad abbandonare le proprie case e terre nella Venezia Giulia e nella Dalmazia. Ci spiega la situazione?
"Parliamo di circa 270mila persone. Il trattato di pace di Parigi del 1947 prevedeva una clausola chiamata 'diritto di opzione': i cittadini di quelle terre che passarono sotto la sovranità jugoslava avevano il diritto di scegliere la cittadinanza ma dovevano strasferirsi in Italia. Non fu una scelta spontanea, ma forzata".
Qualcuno andò all'estero, altri in Italia. Come fu l'accoglienza nel nostro Paese?
"Dalle memorie vengono fuori gare di solidarietà in alcune zone del paese, in altre zone anche di rifiuto. L'esodo durò fino alla metà degli anni Cinquanta".
Professore, perchè un silenzio così lungo per una strage così grande?
"Non ci fu un silenzio immediato. Nel primo decennio della Repubblica il tema era aperto perchè era ancora aperta la questione di Trieste. Se ne parlò fino agli anni Cinquanta poi, essendo una storia dolorosa, che rimandava alla guerra, alle sofferenze, nessuno aveva voglia di parlarne. La Jugoslavia si stava trasformando da nemico storico in un vantaggio strategico per l'Italia perchè era il cuscinetto sulla prima linea della Guerra Fredda. Queste storie potevano dare fastidio a molti. Fino agli anni Ottanta non se ne parlò quasi. Dagli anni Novanta ricominciò ad esserci interessamento da parte della politica. Con la fine del comunismo la politica ha iniziato a interessarsi di molte storie, e questa fu una di quelle".
E' sufficiente, secondo lei, il giorno del Ricordo?
"No, non basta per colmare ferite di questo tipo. C'è stata gente che ha perso tutto, familiari, affetti. Ma il Giorno del Ricordo ha un obiettivo importante: reintegrare nella memoria nazionale la memoria di chi da quella tragedia era stato così duramente colpito. Prima del Giorno del Ricordo si cercava di recuperare una memoria che stava scomparendo. Ora questo non c'è più, la memoria è stata recuperata e salvata".
L'8 settembre 1943 l'esercito italiano si dissolve: che succede?
"In queste zone esisteva un contropotere del movimento partigiano sloveno e croato che aveva creato poteri popolari e proceduto all'epurazione dei nemici del popolo; nel caso della Venezia Giulia si parlava della classe dirigente italiana. Soprattutto nel centro dell'Istria: centinaia di arresti e di morti. Non fu una una vendetta collettiva, ci fu un progetto politico, chi era contrario al progetto doveva essere eliminato".
Il massacro si ripete nella primavera del '45 con l'occupazione di Trieste da parte delle truppe di Tito. Chi furono le vittime?
"Tutti coloro che ebbero a che fare con il regime fascista, con lo Stato italiano, antifascisti, e tutti coloro che erano contrari all'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Tutti considerati nemici del popolo. Sono moltissimi: tra questi vennero selezionati 10-12mila persone tra Trieste e Gorizia, alcuni imprigionati, alcuni uccisi subito, alcuni tornarono".
Tra le vittime ci furono anche i membri del Cln, ossia del Comitato di liberazione nazionale?
"Sì, scomparvero anche loro: erano antifascisti ma contrari all'annessione alla Jugoslavia. Ci furono vittime anche tra i giovani militanti delle brigate partigiane italiane. Non fu solo una punizione per il fascismo, ma una epurazione politica nei confronti di chi veniva percepito contrario al progetto jugoslavo".
Parliamo dell'esodo. Migliaia e migliaia di persone costrette ad abbandonare le proprie case e terre nella Venezia Giulia e nella Dalmazia. Ci spiega la situazione?
"Parliamo di circa 270mila persone. Il trattato di pace di Parigi del 1947 prevedeva una clausola chiamata 'diritto di opzione': i cittadini di quelle terre che passarono sotto la sovranità jugoslava avevano il diritto di scegliere la cittadinanza ma dovevano strasferirsi in Italia. Non fu una scelta spontanea, ma forzata".
Qualcuno andò all'estero, altri in Italia. Come fu l'accoglienza nel nostro Paese?
"Dalle memorie vengono fuori gare di solidarietà in alcune zone del paese, in altre zone anche di rifiuto. L'esodo durò fino alla metà degli anni Cinquanta".