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ITALIA

La pandemia

Il prezzo del lockdown. Rapporto Svimez: 10 mld persi al Sud ogni mese di chiusura

Persi inoltre circa 280mila posti di lavoro nel primo trimestre, l'occupazione femminile ne fa maggiormente le spese.  -12% occupazione giovanile al sud. Pesa mancato rinnovo dei contratti nel periodo del lockdown 

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Ogni mese di lockdown è "costato" quasi 48 miliardi di euro, il 3,1% del Pil italiano, oltre 37 dei quali "persi" al Centro-Nord (3,2% del pil) e quasi 10 nel mezzogiorno (2,8% del Pil). 

E' quanto emerge dai dati del rapporto Svimez 2020, dove si evidenzia come la prima ondata della pandemia abbia avuto per epicentro il Nord, ma la crisi economica si sia però presto estesa al Mezzogiorno, dove si è tradotta in emergenza sociale incrociando un tessuto produttivo più debole, un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile. 

Secondo la Svimez il Pil del Mezzogiorno risulterebbe, a fine 2020, al di sotto del suo picco minimo del 2014 e inferiore di 18 punti percentuali rispetto al 2007 (il centro-nord di circa 11). Le previsioni Svimez per il 2020 segnano -9% per il Mezzogiorno, -9,8% per il Centro-Nord e -9,6% per il paese. Il Sud subisce inoltre un impatto più forte in termini di occupazione: nei primi tre trimestri 2020 la riduzione è pari al 4,5% (il triplo rispetto al Centro-Nord), con una perdita di circa 280mila posti di lavoro nel meridione. Rispetto al 2007 la Svimez sottolinea come il Sud abbia perso oltre mezzo milione di posti di lavoro. Quanto al futuro, per il 2021 la Svimez prevede che il Pil cresca al Sud dell'1,2% e nel 2022 dell'1,4%, mentre al Centro-Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3% l'anno successivo. La conseguenza è che la ripresa sarebbe segnata dal riaprirsi di un forte differenziale tra le due macro aree.

Per quanto riguarda l'occupazione femminile, già ai minimi europei, si è ridotta nei primi sei mesi del 2020 di quasi mezzo milione di unità. Contrariamente alla precedente crisi (prevalentemente industriale), gli effetti occupazionali del lockdown si sono scaricati proprio sulla componente femminile occupata nei servizi con contratti precari. 

Nel suo rapporto Svimez evidenzia come la precarietà del lavoro femminile resti decisamente più elevata, rispetto a quella del lavoro maschile, soprattutto nelle regioni del Sud: un quarto delle donne dipendenti a termine nel mezzogiorno ha quel lavoro da almeno cinque anni (a fronte del 13-14% delle dipendenti del centro-nord); l'11,5% delle donne ha una retribuzione oraria inferiore ai due terzi di quella mediana, a fronte del 7,9% degli uomini (al Sud tale quota sale al 20%, a fronte del 14% degli uomini); l'occupazione femminile in professioni cognitive altamente qualificate è calata, tra il 2008 ed il 2019, di oltre 290mila unità a livello nazionale (-7,1%), mentre negli degli altri paesi europei è aumentata (+21,9% nell'eu-15). Il calo nel mezzogiorno è stato assai più accentuato (-16,2%) rispetto al centro-nord (-4%).  

Se la pandemia è più clemente con la salute dei giovani non lo è per quanto riguarda l'occupazione giovanile che si è ridotta nei primi due trimestri del 2020 dell'8%, più del doppio del calo totale dell'occupazione. A livello territoriale l'impatto sui giovani è stato ancora più pesante nelle regioni meridionali, già caratterizzate da bassissimi livelli di partecipazione al mercato del lavoro: 12%. Lo evidenzia la svimez nel suo rapporto 2020, spiegando come questo sia conseguenza di una doppia penalizzazione: da un lato ha pesato il mancato rinnovo dei contratti nel periodo del lockdown, dall'altro si sono chiuse le porte per coloro che nel 2020 sarebbero dovuti entrare nel mercato del lavoro. Aumentano anche i neet, giovani tra 15 e 34 anni non occupati, non in istruzione e formazione. Nel mezzogiorno, nel 2020, sono cresciuti di circa 150mila unità, raggiungendo la cifra di 1 milione e 800 mila persone. Al nord invece se ne contano 1 milione e 339mila, per un totale di 3 milioni e 139mila neet in italia.