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SALUTE

Tempi d'attesa e ritardi, nemici dei cittadini

Rapporto Censis. Sanità, lunghi tempi di attesa: 20 milioni passano al privato

128 giorni di attesa per una visita endocrinologica, 114 per una diabetologica, 65 per una oncologica, 97 per una mammografia, 75 per la colonscopia. I cittadini italiani sempre più divisi tra sanità pubblica e privata. Oltre 19 milioni e mezzo di "pazienti" nell'ultimo anno hanno provato a prenotare nel Servizio sanitario nazionale, ma alla fine hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento

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I tempi d'attesa, i ritardi cronici, i costi che incidono sul bilancio familiare. Sono questi i principali problemi dei cittadini italiani nel confronto quotidiano con la sanità, sia pubblica che privata. Sono dati che emergono dal IX Rapporto Rbm-Censis presentato oggi al "Welfare Day 2019", una grande indagine su un campione nazionale di 10.000 cittadini maggiorenni statisticamente rappresentativo della popolazione.

Tempi e liste di attesa
Quello dei tempi di attesa nella sanità pubblica rimane uno dei problemi più gravi e più sentiti dai cittadini. In media occorrono 128 giorni d'attesa per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni d'attesa per effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia. E nell'ultimo anno il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare, almeno una volta, una prestazione nel sistema pubblico perché ha trovato le liste d'attesa chiuse. Ecco l'insormontabile barriera all'accesso al sistema pubblico che costringe a rivolgersi al privato, sottolinea il rapporto, anche per effettuare prestazioni necessarie prescritte dai medici.

Giudizio positivo su urgenza e emergenza
Se le cure programmate scontano ritardi cronici, sembra andare meglio per l'emergenza-urgenza: il 48,9% dei cittadini che nell'ultimo anno hanno avuto una esperienza di accesso al Pronto soccorso ha espresso un giudizio positivo (la percentuale sale al 54,5% al Nord-Est). Ma solo il 29,7% si è rivolto al Pronto soccorso in una condizione di effettiva emergenza, per cui non poteva perdere tempo, mentre il 38,9% lo ha fatto perché non erano disponibili altri servizi come il medico di medicina generale, la guardia medica, l'ambulatorio di cure primarie. Il 17,3% lo ha fatto perché ha maggiore fiducia nel Pronto soccorso dell'ospedale rispetto agli altri servizi. Si tratta quindi, si legge nel rapporto, di una domanda sanitaria drogata dalle non urgenze, a caccia della migliore soluzione per il proprio problema che trova impropriamente risposte nel Pronto soccorso.

Pubblico o privato?
Il 62% di chi ha effettuato almeno una prestazione sanitaria nel sistema pubblico ne ha effettuata almeno un'altra nella sanità a pagamento: il 56,7% delle persone con redditi bassi, il 68,9% di chi ha redditi alti. E sono 13,3 milioni le persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta (una caccia alla "second opinion"). Combinare pubblico e privato è ormai il modo per avere la sanità di cui si ha bisogno. Oltre a tentare di prenotare le prestazioni sanitarie nel sistema pubblico e decidere se attendere i tempi delle liste d'attesa oppure rivolgersi al privato, di fronte a una esigenza di salute stringente, molti cittadini si sono rassegnati, convinti che comunque nel pubblico i tempi d'attesa sono troppo lunghi. Nell'ultimo anno il 44% degli italiani si è rivolto direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno tentare di prenotare nel sistema pubblico. E' capitato al 38% delle persone con redditi bassi e al 50,7% di chi ha redditi alti. Ancora una volta: tutti, al di là della propria condizione economica, sono chiamati a mettere mano al portafoglio per accedere ai servizi sanitari necessari.

I forzati della sanità a pagamento
Sono 19,6 milioni gli italiani che nell'ultimo anno, per almeno una prestazione sanitaria essenziale prescritta dal proprio medico, hanno provato a prenotare nel Servizio sanitario nazionale e poi, constatati i lunghi tempi d'attesa, hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento, privata o intramoenia. In 28 casi su 100 i cittadini, avuta notizia di tempi d'attesa eccessivi o trovate le liste chiuse, hanno scelto di effettuare le prestazioni a pagamento (il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% al Centro e il 33,2% al Sud). I numeri del rapporto parlano chiaro: transitano nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche (il 39,2% al Centro e il 42,4% al Sud) e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici (il 30,7% al Centro e il 29,2% al Sud). I Lea, a cui si ha diritto sulla carta, in realtà sono in gran parte negati a causa delle difficoltà di accesso alla sanità pubblica che costringe gli italiani, sottolinea il rapporto, a "surfare" tra pubblico e privato a pagamento per avere le prestazioni necessarie.

Quanto costa la sanità italiana
Nel 2018 la spesa sanitaria privata è lievitata a 37,3 miliardi di euro: +7,2% in termini reali rispetto al 2014. Nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica ha registrato invece un -0,3%. Lo afferma il IX Rapporto Rbm-Censis presentato oggi al "Welfare Day 2019". Tra quelle effettuate direttamente nel privato hanno una prescrizione medica il 92,5% delle visite oncologiche, l'88,3% di quelle di chirurgia vascolare, l'83,6% degli accertamenti diagnostici, l'82,4% delle prime visite cardiologiche con Ecg. Sono numeri che riguardano prestazioni necessarie, non un ingiustificato consumismo sanitario. "La spesa sanitaria privata media per famiglia ha raggiunto quota 1.437 euro. Nella maggior parte dei percorsi di cura gli italiani si trovano a dover accedere privatamente a una o più prestazioni sanitarie. E la necessità di pagare di tasca propria cresce in base al proprio stato di salute (per i cronici la spesa sanitaria privata è in media del 50% più elevata di quella ordinaria, per i non autosufficienti è in media quasi 3 volte quella ordinaria) e all'età (per gli anziani la spesa sanitaria privata è in media il doppio di quella ordinaria)", ha detto Marco Vecchietti, Amministratore Delegato di Rbm Assicurazione Salute. "La situazione è aggravata dal costante allungamento delle liste d'attesa. Quindi il 44% dei cittadini si rivolge direttamente al privato anche per le cure che rientrano nei Lea, i livelli essenziali di assistenza del Servizio sanitario nazionale. Non è più sufficiente limitarsi a garantire finanziamenti adeguati alla sanità pubblica, ma è necessario affidare in gestione le cure acquistate dai cittadini al di fuori del Ssn attraverso un secondo pilastro sanitario aperto. Bisogna raddoppiare il diritto alla salute degli italiani, garantendo a tutti la possibilità di aderire alla sanità integrativa, perché un sistema sanitario universalistico è incompatibile con una necessità strutturale di integrazione individuale pagata direttamente dai malati, dagli anziani e dai redditi più bassi", ha concluso Vecchietti.