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ITALIA

L'intervista

Terrorismo, Stefano Dambruoso:"In Libia possibile che si arrivi ad una divisione politica del Paese"

Deputato di Scelta Civica e magistrato, specializzato nella lotta al terrorismo internazionale, Dambruoso intervistato da RaiNews sottolinea: "I rapporti tra terrorismo e mafie ci sono ma non sono strutturali"

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Stefano Dambruoso
di Carlotta Macerollo
Terroristi e foreign fighters minacciano i governi occidentali. Ne abbiamo parlato con Stefano Dambruoso, deputato di Scelta Civica e magistrato specializzato nella lotta al terrorismo internazionale. Nel 2003, il settimanale americano "Time" lo inserì nella lista degli "eroi moderni" per il suo impegno contro al Qaeda. 
"Per gli organi sovranazionali l'Isis rimane un organismo terroristico ma di fatto ci troviamo davanti un vero Stato, con una popolazione che ha aderito, certo spesso coartata, e ha raggiunto il milione di persone", ha sottolineato Dambruoso.

Quali sono i legami tra il terrorismo islamista e le mafie?
"Da al Qaeda in poi, rapporti strutturali o strutturati non esistono ma è vero che c'è una quantitativa e saltuaria reciproca disponibilità nel mettersi a disposizione per vari fini. Quando le organizzazioni terroristiche hanno bisogno di armi è facile che vadano dal trafficante clandestino, non vanno certo in armeria. Nel traffico di esseri umani, continuo ad escludere che ci sia una strategia unica, un'organizzazione unica di gestione e traffico di esseri umani da parte dell'Isis: vero è che dei soldi guadagnati dai trafficanti - che sfruttano i disperati che sperano di trovare una vita migliore grazie a quel viaggio che pagano profumatamente - una parte può finire nelle mani dei gruppi terroristici che intascano una sorta di tassa di soggiorno, di controllo del territorio".

È a conoscenza di legami tra l'Isis e le mafie italiane?
"Se anche ci fossero stati in aree come la Sicilia, a mio avviso, non sono strutturati e possono solo essere saltuari".

Nel pacchetto antiterrorismo approvato dal governo, la Procura nazionale antimafia dovrebbe occuparsi anche di lotta al terrorismo. Nei fatti come funzionerà? 
"Come lavora oggi la Procura nazionale antimafia, e cioè un ufficio di coordinamento di tutte le notizie e le informazioni che consentirà di avere una strategia unica, valida per tutto il Paese contro quelle cellule che molte volte, quasi sempre, hanno un filo conduttore che le accomuna. Un tempo, quando ci si presentava per incontri di lavoro con gli altri Paesi, ci si arrivava sempre con 6/7 magistrati, mentre gli altri avevano un unico rappresentante dell'Ufficio centrale del coordinamento dell'antiterrorismo. Ecco, finalmente, ce l'abbiamo anche noi. Un risultato davvero importante".

Ci sono agenti dei servizi infiltrati nelle cellule Isis per avere più informazioni su di loro?
"Dove esistono seconde-terze generazioni particolarmente consistenti, con persone che sono diventate professionisti, ingegneri, ma anche carabinieri, poliziotti quindi appartenenti alle forze dell'ordine essendo dei cittadini europei (francesi, inglesi, italiani, però sono madrelingua arabi, la lingua è fondamentale perché è anche una capacità di mimetizzazione fisica) l'infiltrazione è possibile, anzi è quella su cui si è lavorato nel passato e ci si continua a lavorare".

L'opportunità di un attacco in Libia, Siria, Iraq?
"Oggi quello che serve non è un intervento militare ma ci vuole un forte lavoro diplomatico. Bisogna individuare chi sono gli interlocutori destinatari dell'aiuto che si vuole dare: in Libia non ci sono solo due governi ma 150 tribù. È verosimile che si arrivi ad una divisione politicamente accettata della Libia con un governo che non tenga tutto insieme quello che Gheddafi era stato in grado di tenere insieme sacrificando però diritti fondamentali dell'intera popolazione. Il tempo aiuterà ad individuare il giusto equilibrio, le giuste separazioni, anche territoriali, in un'area geografica molto vasta".

Potrebbe accadere una divisione territoriale anche in Siria e Iraq?
"In Siria parzialmente, lì il grande problema è il Kurdistan. Credo che divisioni in quell'area siano difficili, i confini sono più definiti rispetto a quelli della Libia".