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MONDO

Una matita per l'integrazione

Takoua, l'illustratrice italo-tunisina: "Racconterò la strage del Bardo con un fumetto"

23 anni, nata in Tunisia e cresciuta a Roma, Takoua Ben Mohamed da tempo ha fondato Fumetto Intercultura, un progetto per smontare i pregiudizi e spingere - spesso con ironia - chi li subisce e chi li esprime a superarli. Tra i suoi lavori anche il racconto della Primavera Araba in Tunisia, del conflitto in Siria e della questione palestinese. Tanti i riconoscimenti: da un'esposizione al Quirinale al TEDx di Matera

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di Veronica Fernandes
A breve, quando le conseguenze politiche e sociali saranno più delineate, la strage del Museo del Bardo diventerà una graphic novel grazie alla matita di Takoua Ben Mohamed. 23 anni, nata in Tunisia ma cresciuta a Roma, dove ha raggiunto il padre – rifugiato politico, costretto ad abbandonare il suo Paese dopo aver partecipato ad alcune manifestazioni di protesta contro Ben Ali –, e che con il fumetto ha già raccontato la Tunisia attraverso la lente della Primavera Araba, del conflitto in Siria e della vita quotidiana in Italia di una ragazza che sceglie di indossare l’hijab.

Come vuoi impostare il lavoro per la graphic novel sull’attentato di Tunisi, costato la vita a 21 persone?
Voglio aspettare che dopo la tragedia siano più chiare le conseguenze a livello politico, in modo da poter raccontare sia la strage sia la Tunisia del “dopo”. Mi interessa molto il linguaggio. In questi giorni, ad esempio, ho visto servizi in TV in cui si parlava della strage utilizzando come immagini di copertura quelle di persone normali che pregano in moschea o di donne con il velo e questo crea la base per la paura e per il razzismo.

Come hai vissuto la notizia della strage di Tunisi e i giorni successivi?
Ho saputo della strage in treno, stavo tornando a Roma da Firenze. E’ stato un momento di profondo dolore, anche in prima persona, perché il museo è molto vicino al Parlamento e ci sono molti miei familiari e amici che lavorano in quella zona. C’erano stati già alcuni attentati ma non nella capitale, magari più vicino al confine con l’Algeria e la Libia, non me l’aspettavo. Ora spero che la Tunisia non cada nel tranello degli attentatori ma che, visto che è l’unico Paese rimasto in piedi dopo le Primavere Arabe, si lavori per l’unità nazionale.

Il tuo primo fumetto, dal titolo “Me and My Hijab”, è stato esposto quando avevi 13 anni. Da lì hai lavorato molto sul tema dell’immigrazione e dell’integrazione e hai fondato Fumetto Intercultura. Di cosa si tratta?
Fumetto Intercultura vuole raccontare storie vere su tematiche o problemi sociali, a volte con sfondo politico. Il mio primo esperimento con il fumetto prende spunto dalla mia storia perché a 11 anni ho deciso di indossare il velo, come già facevano le mie due sorelle più grandi, un esperimento, volevo provare. Era passato un anno dall’11 settembre e, appena arrivata a scuola, un bambino mi ha chiamata terrorista e talebana. E così a 13 anni ho raccontato la storia con il titolo “Me and My Hijab”, che poi è stata esposta alla Moschea di Centocelle. Oggi succede ancora: so di una bambina di 10 anni, italo-marocchina, accusata di appartenere all’Isis perché portava il velo poco la strage di Charlie Hebdo. Ora Fumetto Intercultura è progetto strutturato che ho presentato alla Camera, al TEDx a Matera e anche al Festival del Giornalismo di Perugia. Ora che frequento l’Accademia di Cinema e Animazione vorrei lavorare sullo stile e soprattutto portare Fumetto Intercultura nel cinema di animazione, penso a cortometraggi ma anche ad un film vero e proprio. E’ per questo che mi sono iscritta.

Come ti sei avvicinata al fumetto e ancora prima al disegno?
Disegno da quando ero bambina, in Tunisia lo facevo sulla sabbia. Poi, una volta arrivata in Italia, è diventato il mio modo di comunicare con gli insegnanti, dato che non capivo la lingua. Nel tempo ho provato un po’ di tutto, anche la calligrafia araba, finchè non sono arrivata al fumetto: una magia, un film su carta. E ho iniziato quello che, solo dopo, ho scoperto essere il genere della graphic novel. Ho imparato da autodidatta, ora con l’Accademia sto rendendo sempre più personale il mio stile. Quando racconto dei problemi legati all'integrazione uso spesso l'ironia - come si vede qui, in cui si parla anche di Candy Crush - nelle altre tavole molto meno: penso ai lavori sulla Siria e sulla Palestina. 

Quali sono i prossimi progetti in cantiere?
Sto lavorando a due libri. Il primo sulla Tunisia: la Primavera Araba ma anche gli anni della dittatura di Ben Ali, ne voglio parlare dal punto di vista personale, raccontare come veniva vissuta all’estero dagli espatriati, nel silenzio dei media. L’altro invece intreccia le storie dei diversi membri di una famiglia musulmana “occidentale”, molto integrata: l’integrazione a scuola e al lavoro di due sorelle, il rapporto con la disinformazione sull’Islam e sul mondo arabo. Mi interessa molto il tema del linguaggio e dell’utilizzo che ne fanno i media, un ambito in cui in Italia, a mio parere, c’è ancora molto da lavorare.