MONDO
Parla Gammarelli, esperto umanitario di Echo
Sud Sudan, è emergenza umanitaria, "Sospette uccisioni etniche"
Tensione alle stelle nel Paese avvelenato dal conflitto etnico. Onu: 200mila sfollati. L'operatore della Direzione generale della Commissione Ue per l'emergenza umanitaria: "Manca la sicurezza per offrire assistenza e aiuti"

Una grande emergenza umanitaria, senza precedenti. In Sud Sudan la tensione è altissima. Duecentomila sfollati dice l’Organizzazione delle Nazioni Unite: 76mila solo nella contea di Awerial, a circa 200 chilometri dalla capitale Juba. Oltre mille vittime nel conflitto iniziato lo scorso 15 dicembre. A scontrarsi sul campo, sulla terra del più giovane Stato al mondo, le due principali etnie: quella ‘dinka’ legata al presidente sud sudanese Salva Kiir e quella ‘nuer’ di cui fa parte l’ex vice presidente Riek Machar.
Una escalation di violenze, giorno dopo giorno: ieri sera a Juba si sono udite forti esplosioni e colpi di arma da fuoco. Per comprendere meglio l’emergenza e la situazione in Sud Sudan, Rainews ha contattato telefonicamente a Juba Ludovico Gammarelli, esperto di ECHO, la direzione generale della Commissione europea per le emergenze umanitarie e la Protezione civile.
“Uccisioni etniche quotidiane”
Gammarelli riferisce di “sospette uccisioni etniche, soprattutto nelle città di Bor, Juba, Bentiu, Malakal”. “Oltre al conflitto aperto - dice - esiste anche un sottile e pericoloso conflitto etnico, lontano dagli occhi internazionali. I rapporti di alcuni osservatori dei diritti umani parlano di uccisioni quotidiane, e non siamo lontani dal configurare una situazione di pulizia etnica. È ancora troppo presto per definire le responsabilità e formulare accuse, ma é chiaro a tutti che questi crimini stanno avvenendo, giorno dopo giorno”.
“Condizioni di vita pessime, violenze sessuali all’interno delle basi”
Circa 65.000 persone hanno trovato rifugio nelle basi militari della missione UNMISS dei Caschi Blu dell’Onu. “Qui – continua Gammarelli - le condizioni di vita sono pessime da tutti i punti di vista: manca acqua potabile, servizi igienici, cibo, assistenza medica; all'interno delle basi le violenze tra gli sfollati, anche quelle sessuali, sono all'ordine del giorno. La situazione è in via di miglioramento a Juba grazie all'intervento delle agenzie umanitarie e delle ong, ma in altri posti come Bor, Malakal o Bentiu la difficoltà di accesso per ragioni di sicurezza rappresenta la più grande barriera con la quale ci stiamo scontrando. È molto frustrante”.
“Da conflitto politico a conflitto etnico”
Ma da cosa nasce questo conflitto? Quali le vere ragioni? “Il confronto – spiega l’esperto di Echo - è iniziato già lo scorso maggio a seguito del mancato accordo tra i due principali esponenti dell’unico partito sud sudanese (il presidente Kiir e l’ex vice presidente Machar, ndr) per il rinnovo delle cariche politiche. Questo conflitto di matrice politica, e per certi versi anche personale tra i due rappresentanti, è sfociato in un conflitto aperto lo scorso 15 dicembre. Dopo intensi combattimenti per le strade della capitale Juba, il conflitto si é ora spostato nel nord del paese.
L’importanza dei pozzi petroliferi, strumento di potere
Il Paese ora è a ferro e fuoco. Tre sono i principali teatri di guerra: il primo è lo stato di Jonglei, il secondo è l’Upper Nile e il terzo è quello di Unity. In queste regioni ci sono i più importanti giacimenti petroliferi del Paese. In questo momento i pozzi sono uno strumento, una grande risorsa per chi li conquista. “La prima cosa che ha fatto Machar è stata quella di occuparli”, ci dice Gammarelli. “Qui le battaglie sono quotidiane, la situazione é molto confusa. E la cifra di mille morti in sole due settimane è una stima al ribasso. A combattere sono principalmente le fazioni interne all'esercito Sud Sudanese (l'SPLA, ndr), ma anche altri gruppi armati che si sono associati ai combattimenti a favore dell'una o dell'altra parte. La divisione politica e militare tra le due fazioni opposte é allineata alla divisione tra le due principali etnie sud sudanesi: i Dinka, pro-Kiir, e i Nuer, pro-Machar".
“Seri problemi di sicurezza, difficoltà negli aiuti”
“Noi operatori umanitari – continua Gammarelli - siamo molto preoccupati per l’andamento incerto dei negoziati di pace e per l’escalation delle violenze”. “La più grande difficoltà – conclude - è l’accesso alle zone delle violenze per la mancanza di sicurezza. Quindi ci appelliamo alle parti in conflitto: Permetteteci di portare il nostro aiuto e la nostra assistenza”.
Una escalation di violenze, giorno dopo giorno: ieri sera a Juba si sono udite forti esplosioni e colpi di arma da fuoco. Per comprendere meglio l’emergenza e la situazione in Sud Sudan, Rainews ha contattato telefonicamente a Juba Ludovico Gammarelli, esperto di ECHO, la direzione generale della Commissione europea per le emergenze umanitarie e la Protezione civile.
“Uccisioni etniche quotidiane”
Gammarelli riferisce di “sospette uccisioni etniche, soprattutto nelle città di Bor, Juba, Bentiu, Malakal”. “Oltre al conflitto aperto - dice - esiste anche un sottile e pericoloso conflitto etnico, lontano dagli occhi internazionali. I rapporti di alcuni osservatori dei diritti umani parlano di uccisioni quotidiane, e non siamo lontani dal configurare una situazione di pulizia etnica. È ancora troppo presto per definire le responsabilità e formulare accuse, ma é chiaro a tutti che questi crimini stanno avvenendo, giorno dopo giorno”.
“Condizioni di vita pessime, violenze sessuali all’interno delle basi”
Circa 65.000 persone hanno trovato rifugio nelle basi militari della missione UNMISS dei Caschi Blu dell’Onu. “Qui – continua Gammarelli - le condizioni di vita sono pessime da tutti i punti di vista: manca acqua potabile, servizi igienici, cibo, assistenza medica; all'interno delle basi le violenze tra gli sfollati, anche quelle sessuali, sono all'ordine del giorno. La situazione è in via di miglioramento a Juba grazie all'intervento delle agenzie umanitarie e delle ong, ma in altri posti come Bor, Malakal o Bentiu la difficoltà di accesso per ragioni di sicurezza rappresenta la più grande barriera con la quale ci stiamo scontrando. È molto frustrante”.
“Da conflitto politico a conflitto etnico”
Ma da cosa nasce questo conflitto? Quali le vere ragioni? “Il confronto – spiega l’esperto di Echo - è iniziato già lo scorso maggio a seguito del mancato accordo tra i due principali esponenti dell’unico partito sud sudanese (il presidente Kiir e l’ex vice presidente Machar, ndr) per il rinnovo delle cariche politiche. Questo conflitto di matrice politica, e per certi versi anche personale tra i due rappresentanti, è sfociato in un conflitto aperto lo scorso 15 dicembre. Dopo intensi combattimenti per le strade della capitale Juba, il conflitto si é ora spostato nel nord del paese.
L’importanza dei pozzi petroliferi, strumento di potere
Il Paese ora è a ferro e fuoco. Tre sono i principali teatri di guerra: il primo è lo stato di Jonglei, il secondo è l’Upper Nile e il terzo è quello di Unity. In queste regioni ci sono i più importanti giacimenti petroliferi del Paese. In questo momento i pozzi sono uno strumento, una grande risorsa per chi li conquista. “La prima cosa che ha fatto Machar è stata quella di occuparli”, ci dice Gammarelli. “Qui le battaglie sono quotidiane, la situazione é molto confusa. E la cifra di mille morti in sole due settimane è una stima al ribasso. A combattere sono principalmente le fazioni interne all'esercito Sud Sudanese (l'SPLA, ndr), ma anche altri gruppi armati che si sono associati ai combattimenti a favore dell'una o dell'altra parte. La divisione politica e militare tra le due fazioni opposte é allineata alla divisione tra le due principali etnie sud sudanesi: i Dinka, pro-Kiir, e i Nuer, pro-Machar".
“Seri problemi di sicurezza, difficoltà negli aiuti”
“Noi operatori umanitari – continua Gammarelli - siamo molto preoccupati per l’andamento incerto dei negoziati di pace e per l’escalation delle violenze”. “La più grande difficoltà – conclude - è l’accesso alle zone delle violenze per la mancanza di sicurezza. Quindi ci appelliamo alle parti in conflitto: Permetteteci di portare il nostro aiuto e la nostra assistenza”.