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TECH

Novità nel lavoro a distanza

Telelavoro, dipendenti a casa per il coronavirus

Due dipendenti Chevron con sintomi dopo vacanza: chiusa sede di Londra. In Giappone in cinquemila telelavorano alla Dentsu. In Italia Direttiva del ministro della P.A, Dadone per "proteggere la salute" e "assicurare servizi essenziali". Ma attenzione ai problemi di sicurezza del lavoro a distanza, avvertono i tecnici

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La compagnia petrolifera statunitense Chevron ha chiuso la sua sede di Londra nel quartiere di Canary Wharf, dopo che due dipendenti sono tornati dalle vacanze in zone colpite dall'epidemia da coronavirus e hanno mostrato sintomi. La compagnia, ha riferito Bbc, ha mandato circa 300 dipendenti a casa dagli uffici e chiesto a tutti di effettuare il telelavoro. "Continuiamo a monitorare la situazione molto da vicino, usando le linee guida delle autorità sanitarie internazionali e locali", ha detto una portavoce a Daily Mail.

Giappone, più lavoro da casa per paura contagi
E le misure di prevenzione sono presenti anche in Giappone per contenere la diffusione del coronavirus. La principale agenzia pubblicitaria del paese, la Dentsu, ha chiesto ai circa 5.000 dipendenti di lavorare dalla propria abitazione. La decisione è stata presa dopo che a un suo impiegato di età compresa intorno ai 50 anni è stato diagnosticato il coronavirus nella sede principale dell'agenzia, l'iconico grattacielo nel quartiere di Shimbashi, al centro di Tokyo. L'azienda ha riferito di aver portato a termine la disinfestazione della postazione del lavoro del dipendente sotto la guida dell'ufficio locale della sanità e ha messo sotto osservazione quattro colleghi che sono entrati in contatto con il soggetto.
 
Direttiva in Italia per telelavoro nella P.A.
In Italia si guarda al telelavoro nella pubblica amministrazione come possibile soluzione in determinati casi. E c’è una direttiva in questo senso del ministro Dadone.
 
Anche nella P.A. privilegiare "modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa", favorendo chi ha patologie, i pendolari e quelli su cui grava la cura dei figli. Invito a "potenziare il ricorso al lavoro agile". Anche per convegni e riunioni viene raccomandata la "modalità telematica".  Lo stabilisce la direttiva firmata dalla ministra della P.A, Fabiana Dadone, con le "prime indicazioni in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 fuori dai comuni interessati di Veneto e Lombardia.
 
"Siamo di fronte a un documento di indirizzo che forniamo alle amministrazioni a tutela di lavoratori e cittadini. Stiamo mettendo in atto tutte le misure che servono a bilanciare l'imprescindibile esigenza di proteggere la salute e garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro con la necessità di mandare avanti la complessa macchina dello Stato e di assicurare i servizi essenziali, di cui il Paese ha comunque bisogno", spiega la ministra della P.A., Fabiana Dadone, in una nota. "Ma stiamo anche lavorando - torna a sottolineare - a una norma che possa dare piena protezione professionale ai dipendenti della P.A. che saranno costretti ad assentarsi per cause di forza maggiore. Andiamo avanti con decisione e razionalità per rispondere al meglio all'epidemia da coronavirus". Nella direttiva tra l'altro viene data, si evidenzia nella nota del ministero, "preferenza per riunioni, convegni e momenti formativi svolti con modalità telematiche che possono sostituire anche gran parte delle missioni nazionali e internazionali, escluse quelle strettamente indispensabili. E si rimarca: "Soltanto per specifiche attività e laddove l'autorità sanitaria lo prescriva, di protezione individuale come mascherine e guanti monouso". È inoltre prevista la "diffusione del decalogo di regole di comportamento utili alla sicurezza dei pubblici dipendenti e dell'utenza".

In GU norme emergenza virus, in 6 Regioni più semplice telelavoro
Scattano le norme che semplificano l'utilizzo dello smart working, il cosiddetto lavoro agile, ma il nostro Paese su questo tema è ancora indietro. Nel decreto che attua le prime norme del Governo contro l'emergenza Coronavirus si prevede la possibilità per le aziende di sei regioni italiane (Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Veneto e Liguria) di far lavorare i propri dipendenti da casa senza un accordo preventivo (previsto dalla legge sul lavoro agile del 2017) fino al 15 marzo in modo da evitare la diffusione del contagio. La richiesta può arrivare anche dal lavoratore delle zone interessate all'azienda che però può rifiutarsi per "motivate ragioni organizzative".   In Italia secondo gli ultimi dati disponibili lavorano con lo smart working (stabilmente o occasionalmente) circa 354.000 persone, meno del 2% dei lavoratori complessivi, ma le persone potenzialmente occupabili con questi sistemi - secondo i calcoli della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro - sarebbero 8,3 milioni. Ipotizzando che un terzo di questi lavorasse da casa, il lavoro agile potrebbe riguardare circa 2,7 milioni di persone portando il Paese sulle medie dei grandi paesi europei. Secondo gli ultimi dati Eurostat nel 2018 l'11,6% dei lavoratori europei alle dipendenze di imprese o organizzazioni pubbliche praticava smart working, lavorando da casa saltuariamente (8,7%) o stabilmente (2,9%), grazie alle opportunità messe a disposizione delle nuove tecnologie. In Italia la percentuale si ferma al 2% a fronte del 20,2% del Regno Unito, del 16,6% della Francia e dell'8,6% della Germania mentre nel Nord Europa si supera in alcuni casi (Svezia e Olanda) il 30%. La modalità del "lavoro agile" - si legge nel decreto di attuazione - è applicabile, in via provvisoria, fino al 15 marzo 2020, per i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria" e per i lavoratori "ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da tali territori" anche in assenza di accordi individuali. Il lavoro agile, secondo la legge che lo ha regolamentato, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato "con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici" che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro. La definizione di smart working, contenuta nella legge del 2017 pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone) ma in questo caso, almeno fino a 15 marzo, per evitare il rischio contagio da coronavirus, viene meno la volontarietà e le aziende possono decidere di mettere il dipendente in smart working in "automatico". Anche il dipendente che teme il contagio può chiedere di lavorare in modalità agile ma l'azienda può rifiutare questo tipo di prestazione per ragioni organizzative. "Esiste certamente - spiega il presidente della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, Rosario De Luca - la possibilità per il dipendente di scegliere di applicare per sé stesso la disciplina del lavoro agile. Però il rimando generico ai principi della legge 81/2017 lascia aperta la possibilità del datore di lavoro di rifiutare per motivate ragioni organizzative, anche perché l'autocertificazione prevista va depositata esclusivamente dal datore di lavoro".


Aziende tra smart working e cantieri aperti
Smart working, lavoro agile: è la nuova parola d'ordine che si sta diffondendo in Lombardia e in tutte le zone sotto sorveglianza per via del coronavirus. Grandi aziende e amministrazioni pubbliche (a cominciare dal Comune di Milano) stanno adottando questa forma di flessibilità che consente di restare in collegamento con l'azienda pur restando a casa. Una modalità adottata, praticamente da tutte le grandi banche e le assicurazioni con sede a Milano: da Unicredit a Banca Intesa, da Generali ad Allianz. Oggi si è aggiunta l'Eni che ha attivato lo smart working al quartier generale di San Donato Milanese. Poi naturalmente ci sono le imprese che invece continuano a lavorare normalmente. Per esempio Salini Impregilo conferma che i lavori in Italia sia al nord che al sud non si fermano, In particolare nei cantieri più grandi come ad esempio la metro 4 di Milano, il Terzo Valico dei Giovi. A Genova la maestranze sono al loro posto ventiquattr'ore per completare nei tempi previsti il ponte che sostituirà il Morandi crollato un anno e mezzo fa. Un ritmo che viene garantito anche in questi giorni di allerta in molte città italiane, in cui Salini Impregilo conferma di aver preso tutte le misure necessarie per i suoi lavoratori, senza pregiudicare le attività in cantiere.

Turismo e commercio sono settori che non possono ricorrere allo smart working e subiscono gli effetti della paralisi. Secondo Confesercenti l'emergenza coronavirus rischia di avere un impatto elevatissimo sull'economia con una perdita di circa 3,9 miliardi di consumi. L'associazione dei commercianti parla di "una stima conservativa, basata sull'ipotesi di una crisi limitata". La frenata dei consumi, afferma l'associazione, avrà conseguenze pesanti sul tessuto imprenditoriale: potrebbe portare alla chiusura di circa 15mila piccole imprese in tutti i settori, dalla ristorazione alla ricettività, passando per il settore distributivo ed i servizi. L'impatto sull'occupazione potrebbe superare i 60mila posti di lavoro. La situazione è particolarmente grave nel turismo: "il comparto - afferma Confesercenti - è già in zona rossa, con le attività ricettive travolte da un diluvio di disdette, e la stagione primaverile, che vale il 30% circa del fatturato totale annuo del turismo, appare seriamente compromessa, con la prospettiva di ulteriori danni per alberghi e b&b, ma anche bar, ristoranti e attività commerciali".

Le imprese che più facilmente hanno potuto utilizzare lo smart working sono state banche e assicurazioni. Intesa Sanpaolo ha disposto la chiusura delle filiali nell'area 'rossa', offrendo ai dipendenti dei comuni isolati "permessi retribuiti" o la facoltà di lavorare da casa, stesse misure adottate anche da Banco Bpm. Zurich ha chiesto di lavorare in smart working ai dipendenti di Milano, Brescia, Modena, Rimini, Padova e Torino anche se non ci sono casi di contagio tra i dipendenti.

Le riunioni vengono ripianificate e trasformate in conference call, e le trasferte sospese. I primi a muoversi in questa direzione sono stati Leonardo e Pirelli.

Nelle tlc Vodafone ha ulteriormente intensificato le misure di controllo e prevenzione con il telelavoro per i dipendenti delle sedi di Vodafone Village di Milano, Padova e Bologna. Così farà anche Wind Tre che ha inoltre raccomandato lo smart working a chi lavora in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia.

Armani che domenica ha sfilato a porte chiuse, chiude per una settimana gli uffici di Milano e le sedi produttive che si trovano in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Trentino e Piemonte. Gucci ha invitato i propri dipendenti invitandoli a limitare le trasferte, preferendo modalità di comunicazione a distanza, come le video-conference. Tod's ha preferito optare per smart working e limitazione delle trasferte per qualche giorno. In Fca e Cnh Industrial invece l'attività nelle fabbriche riprenderà regolarmente, con massima attenzione ai luoghi più affollati nelle fabbriche come le mense.
 
“Messa alla prova la sicurezza del lavoro a distanza”
Certamente con il lavoro a distanza si aprono scenari complessi per la protezione dei dati come fa notare Acronis, tra i leader mondiali nella cyber protection, in un comunicato. “Molte imprese si rivolgono alla videoconferenza, alla sincronizzazione e alla condivisione dei file e ad altre soluzioni di lavoro a distanza. Il mercato globale della sincronizzazione e condivisione dei file aziendali dovrebbe raggiungere 24,4 miliardi di dollari entro il 2027 rispetto ai 3,4 miliardi del 2018”.

Il fatto è, prosegue la nota, che adesso “le aziende devono implementare questa tecnologia in modo che i dipendenti possano lavorare da casa e al contempo accedere e trasferire i dati in modo sicuro e protetto. Mentre alcuni datori di lavoro temono che il lavoro a distanza crei un calo delle prestazioni dei dipendenti, oggi la preoccupazione maggiore è  - in realtà – quella di mettere in sicurezza i dati. Per ciò che concerne la rete aziendale, i team IT possono facilmente proteggere i dispositivi dei professionisti, ma ciò diventa molto più difficile da fare quando un dipendente accede al sistema dall'esterno della rete. Al di fuori della rete aziendale, i dispositivi sono facilmente soggetti agli attacchi di terze parti e di criminali informatici. Attaccare questi endpoint non tutelati può rivelare ai criminali informatici le credenziali di accesso del dipendente, creando così ai medesimi un varco per accedere al sistema delle società o persino per utilizzare il virus informatico per bloccare i dati aziendali”.

Save the children: per 4 milioni scuole sospese
Infine, uno sguardo alla didattica a distanza. A favore di insegnanti e studenti spezza una lancia l'Ong Save the children. Ad oggi 4 milioni di bambini e ragazzi hanno interrotto il loro percorso scolastico in diverse regioni italiane a causa dell'emergenza Coronavirus. Questa situazione di emergenza è una cartina di tornasole di tutte le problematiche della didattica digitale in Italia: a fronte di situazioni di eccellenza, con istituti che hanno potuto garantire continuità scolastica attraverso l'online, si riscontrano gravi ritardi per quanto riguarda sia le dotazioni tecnologiche che la preparazione del corpo docente, sottolinea Save the Children.

Nel nostro Paese, spiega l'organizzazione, quasi la metà degli insegnanti (48%) non ha ricevuto un training formale sull'uso delle nuove tecnologie per la didattica e solo poco più di 1 su 3 (36%) si sente particolarmente preparato nell'utilizzarle. Inoltre, circa il 18% dei minori tra i 6 e i 17 anni che vivono nelle aree interessate alla chiusura delle scuole non usa internet e rischiano quindi di rimanere disconnessi da eventuali attività di didattica a distanza.

"Nulla può sostituire la relazione diretta tra i docenti, i ragazzi e il gruppo classe, ma è fondamentale che tutte le scuole sviluppino, anche in tempo ordinario, modalità innovative di didattica integrate con il digitale. Sono oggi da apprezzarsi tutti gli sforzi che, anche in mancanza di strumenti adeguati, molti docenti stanno compiendo in modo "fai da te" per mantenere in ogni caso i contatti con i propri studenti, offrendo consigli di lettura, predisponendo moduli di lezioni da scaricare on line e così via. Tutto questo al fine di scongiurare il rischio che l'interruzione del percorso scolastico possa avere conseguenze sull'apprendimento", ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children.

L'organizzazione chiede dunque che si faccia ogni sforzo per garantire la continuità di apprendimento e del percorso scolastico, e che, alla luce dell'esperienza che stiamo vivendo, si attivi un processo volto a colmare, su tutto il territorio nazionale, i gap tecnologici e di formazione degli insegnanti.

Parlando di didattica digitale, Save the Children sottolinea che ad oggi non tutti gli studenti in Italia sono nelle condizioni di poter fruire, a casa, dei necessari supporti (pc, rete internet, etc.). "E' fondamentale che lo sviluppo della didattica digitale non generi ulteriori forme di diseguaglianza e di discriminazione nei confronti dei bambini e dei ragazzi che vivono in condizione di grave povertà educativa. Questo non significa arrestare il processo di digitalizzazione, ma garantire a tutti gli studenti la possibilità di esserne protagonisti, senza lasciare nessuno indietro, in particolare quei minori vivendo in condizioni di svantaggio socio-economico non hanno la possibilità di accedere con regolarità alla rete e alle nuove tecnologie", ha concluso Raffaela Milano.

A Tortona 'telelavoro' per i parroci: la messa si fa online
La funzione delle ceneri in diretta su Facebook e su YouTube: così Paolo Pardini, sacerdote piemontese di Tortona, viene incontro ai parrocchiani via internet, dopo divieto di celebrare messa nelle regioni del Nord Italia a causa del''emergenza coronavirus. Inventore dell'app iBreviary, scaricata da oltre due milioni di fedeli, don Paolo è uno dei tanti parroci che, da Genova a Cremona, organizzano funzioni religiose digitali per la comunità. Massimo Cerofolini l'ha intervistato su Radio 1 Rai.