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POLITICA

Trivelle, la minoranza Pd dice "no" alla linea dell'astensione di Renzi

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La minoranza Pd dice 'no' alla linea del partito di astensione al referendum sulle trivelle. Non andare a votare è "legittimo e sacrosanto", oltre che "corretto" a norma di Costituzione, afferma Matteo Renzi.  Ma 13 esponenti della sinistra Dem in direzione votano per la prima volta contro la linea del segretario. Tra loro Gianni Cuperlo, Roberto Speranza e i due ex segretari Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani. Mettono così a verbale un dissenso che va oltre la consultazione del 17 aprile.

E Cuperlo affonda il colpo più duro: "Matteo, ti manca la statura del leader anche se coltivi l'arroganza del capo". Ma il premier non si scompone: "E' un giudizio politico che rispetto ma io ho l'ambizione di proporre una sinistra credibile, possibile e riformista".   

La richiesta di cambiare la linea sulle trivelle e dare indicazione di andare a votare al referendum, viene formalizzata da 24 esponenti della minoranza Pd con un ordine del giorno presentato nella riunione della direzione. Ma Renzi tiene ferma la linea dell'astensione. Per chi andrà a votare, assicura, "non ci saranno scomuniche". Ma alla sinistra Dem chiede "l'onestà intellettuale" di ammettere che l'astensione è "legittima". Non andare a votare, ribadisce, serve a bocciare il quesito che il Pd ritiene sbagliato. E lo ritiene sbagliato - ricorda agli avversari interni - anche Romano Prodi: "La mia posizione è un po' meno dura della sua, lui ha parlato di suicidio del Paese".   

Questa volta, però, le tre aree della sinistra Dem non mollano. E consumano uno strappo rispetto alla linea del partito, che potrebbe essere seguito da una differenziazione ben più dolorosa sul referendum costituzionale e che comunque marca un dissenso interno che guarda, nel lungo periodo, al prossimo congresso. L'accusa di fondo è di metodo: non ci sono spazi di discussione e condivisione delle decisioni nel partito. E' stato sbagliato, attaccano Speranza e Cuperlo, inserire nella manovra l'emendamento su Tempa Rossa finito tra le carte dell'inchiesta di Potenza. "Avrei voluto discuterne", dice Speranza. Più in generale, dice Cuperlo a viso aperto al segretario ("in faccia, come piace a te"), Renzi non si sta rivelando "all'altezza" del suo ruolo: "Hai chiesto il voto per fare il segretario ma non lo stai facendo e spingi qualcuno a uscire. Sento il peso di stare in un partito che sembra aver perso le proprie ragioni", dice.   

Renzi decide di non replicare a muso duro e ricorda la frequenza con cui si riunisce la direzione del partito, "luogo di discussione in cui sempre si è permesso a tutti di parlarsi con libertà e franchezza: non siamo un'enclave chiusa e sorda che decide per i fatti propri". E ancora, ricorda il segretario: "Il Pd e' punto di riferimento di milioni di italiani che non ne possono più delle nostre discussioni interne. Essere di sinistra è creare lavoro", aggiunge difendendo le politiche del governo.

Più duro Paolo Gentiloni, che invita la minoranza a "non avere una concezione proprietaria del partito" e liberarsi della "sindrome di Renzi come intruso e usurpatore". "Basta psicodrammi: non vorrei che alla base di certe operazioni nostalgia ci fossero più che problemi politici problemi prostatici", dice con pungente ironia Vincenzo De Luca.    Ma il dato politico è che sulle trivelle una parte del Pd si sgancia dalla linea del partito. E se i governatori De Luca e Pittella si allineano al governo, Michele Emiliano tiene ferma la linea del sì al referendum: "Gli argomenti di Renzi sono uguali a quelli dei petrolieri". Alla fine sono in 13 a votare 'no' in direzione: tra loro esponenti delle tre aree della minoranza e la bindiana Miotto, oltre a Emiliano.