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Coronavirus

Silicon Valley

Coronavirus: Uber licenzia, sharing economy al bivio

L'avanzata delle startup della condivisione di beni e servizi dovrà ripensare il proprio modello di business, a pagarne le conseguenze sono già adesso i lavoratori dipendenti

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E’ un momento doloroso che richiede cambiamenti radicali per le ex-startup californiane nate e fiorite sull’idea della condivisione di beni e servizi.  

Uber, la prima piattaforma per il trasporto via app, nata a San Francisco nel 2008 e presente in quasi tutto il mondo, ha annunciato mercoledì che taglierà 3.700 posti di lavoro a tempo pieno, circa il 14% della forza lavoro della società, mentre i ‘driver’, che non sono considerati dipendenti di Uber, dall’inizio della pandemia sono rimasti senza sostegno.

Anche Lyft, il più grande rivale di Uber, ha annunciato il mese scorso che avrebbe licenziato 982 persone, vale a dire il 17% degli impiegati. Non è l’unico duro colpo alla ‘sharing economy’ che molti analisti considerano finita, almeno nelle modalità di prima del coronavirus: il servizio di condivisione di alloggi Airbnb ha già tagliato un quarto della sua forza lavoro, circa 1.900 persone, e prevede che le sue entrate avranno un drastico calo quest’anno con possibili ripercussioni sull’occupazione.

La pandemia ha reso il distanziamento sociale necessario e le aziende i cui modelli di business erano basati sulla condivisione dello spazio personale devono ripensare completamente la propria strategia se vogliono sopravvivere, osservano gli analisti del settore. Il quadro complessivo è pesante:  le imprese americane hanno tagliato ad aprile 20,2 milioni di posti di lavoro, un fatto senza precedenti dalla Grande depressione.