10 anni fa a Catania moriva l'ispettore Filippo Raciti
Uno dei giorni più neri nella storia del calcio italiano
Quell'anno il "derby della Sicilia" tra Catania e Palermo originariamente programmato per il 4 era stato anticipato per motivi di gestione dell'ordine pubblico al 2 febbraio in modo da evitare la concomitanza con la festa di Sant'Agata, patrona della città. Il fischio d'inizio è fissato alle 18 ma il caos inizia nel secondo tempo quando i tifosi del Catania tentano di assalire quelli palermitani giunti in ritardo per problemi organizzativi, ne scaturiscono duri scontri tra gli Ultras opposti e tra questi e le forze dell'ordine schierate fuori dal "Massimino".
La partita viene sospesa per quasi un'ora a causa del denso fumo di lacrimogeni che penetrano nello stadio. La guerriglia prosegue anche al temine dell'incontro lungo le strade e sui piazzali antistanti l'impianto sportivo. Alla fine è Filippo Raciti - ispettore di polizia, catanese di 40 anni, sposato con Marisa Grasso e padre di due figli, all'epoca di 15 e 8 anni - a rimanere a terra ucciso per un colpo che gli spacca il fegato. Vana la corsa all'ospedale "Garibaldi" dove morirà un'ora dopo. Si parla in un primo momento di bomba carta e poi di un lavandino lanciatogli contro dagli ultras catanesi ma il corpo contundente non verrà mai ritrovato.
Al termine di un lungo iter processuale, per la morte di Filippo Raciti pagano Antonino Speziale, all'epoca dei fatti diciassettenne, e condannato nel 2010 a 14 anni in primo grado per omicidio preterintenzionale dal Tribunale dei Minori di Palermo, pena ridotta poi in Appello a 8 e Daniele Natale Micale, all’epoca ventitreenne, condannato a 11 anni con pena confermata nei successivi gradi di giudizio. Nonostante le polemiche e i dubbi mossi dagli avvocati della difesa e da alcune inchieste giornalistiche che hanno messo in dubbio l'inchiesta e la ricostruzione dell'accusa, la Cassazione nel 2012 ha confermato le condanne e respingendo successivamente due richieste di revisione del processo.
Il caso Raciti suscitò molte reazioni. Dall'indignazione scaturirà allora la sospensione del Campionato di Serie A e l'approvazione in Parlamento del cosiddetto "Decreto Amato", una serie di misure in chiave repressiva tra cui le nuove norme per il cosiddetto "Daspo" che viene esteso anche ai minori, le sanzioni specifiche per le azioni violente all'interno degli stadi, i biglietti nominativi e l'obbligo per gli impianti calcistici di dotarsi di tornelli di ingresso. Alla commozione e alla solidarietà nei confronti della famiglia fa da contraltare un'ondata di odio che percorre i settori più estremi di alcune tifoserie e in diverse città italiane compaiono scritte oltraggiose e incitazioni alla violenza contro la polizia.
Un'onda lunga che riemergerà nel 2014 con il caso di Gennaro De Tommaso, detto "Genny a' Carogna" che finisce sulle prime pagine di tutti i giornali con la maglietta che inneggia all'innocenza di Speziale, uno dei due condannati per l'omicidio, durante la finale di Coppa Italia del 2014, evento funestato dal ferimento che porterà alla morte di Ciro Esposito. Un veleno che resiste ancora come dimostra il recente caso dell'Aglianese, una squadra che milita in Promozione e i cui tifosi nel novembre scorso hanno contestato l'intitolazione dello stadio di Quarrata all'agente catanese.