20 anni senza Vittorio Gassman, indimenticabile Mattatore
Attore e autore geniale, coraggioso innovatore, nella sua autobiografia, raccontò la fatica della perfezione, l'infaticabile ricerca del dettaglio, la necessità di superarsi ogni volta
Il 29 giugno 2000 moriva Vittorio Gassman, la maschera per eccellenza, soprannominato il Mattatore appellativo che lo ha sempre accompagnato dal 1959 quando ebbe grande successo televisivo in uno spettacolo dallo stesso titolo che poi diventò la riuscita commedia di Dino Risi.
Nella sua carriera, tra cinema e teatro, ha dato vita a centinaia di personaggi. Sul palcoscenico è stato Otello, Riccardo III, Macbeth o, alternativamente, Jago e Amleto nella storica versione del dramma di Shakespeare, messa in scena con Salvo Randone in cui i due protagonisti si scambiavano i ruoli principali ogni sera. La filmografia è sconfinata. Aveva iniziato con film drammatici come "Il lupo della Sila" di Coletti o "Anna" di Lattuada, per poi partecipare al neorealismo con il ruolo del lestofante in "Riso amaro" di De Santis. Ne "Il mattatore" era Gerardo il maestro della truffa, ne "L'armata Brancaleone" era lo sgangherato guerriero e in "L'arcidiavolo" addirittura Belfagor in persona.
In costume, in "Scipione detto l'Africano", aveva prestato il volto a Catone mentre tra le sue più celebri interpretazioni resta quella di "Profumo di donna", in cui è il cinico donnaiolo Fausto Consolo che progetta il suicidio. Difficile dimenticarlo in "C'eravamo tanto amati", dove vestiva i panni dell'avvocato arrivista Gianni che divide con Manfredi e Satta Flores l'amore per la stessa donna. Simbolo di un'epoca è il suo Bruno Cortona, il cialtrone che viaggia da Roma a Viareggio in auto nel "Sorpasso".
Se il teatro, anche con classici come "Un tram che si chiama desiderio" e "Troilo e Cressidra" diretto da Visconti o "Un marziano a Roma" di Flaiano, era la sua passione, con il cinema Gassman aveva 'affinato' le sue doti ironiche e comiche. Quando Monicelli gli affidò la parte del ladro balbuziente ne 'I soliti ignoti', tutti parlarono del Vittorio comico. Con gli stessi toni il 'mattatore' rese celebre il milanese Giovanni Busacca, sempre pronto a imboscarsi, de 'La grande guerra'.
Figlio di un ingegnere tedesco, passato per una breve stagione a Palmi, cresciuto a Roma e trasferito a Milano, poteva facilmente mimetizzarsi in ogni regione per la sua maniacale precisione nel ripetere tutte le inflessioni dialettali e regionali. Nella sua autobiografia raccontò la fatica della perfezione, l'infaticabile ricerca del dettaglio, la necessità di superarsi ogni volta.
Meno nota, ma non meno intensa è la carriera internazionale di Vittorio Gassman: da sempre, grazie alla conoscenza delle lingue, lo cercano le produzioni internazionali e, dopo la rivelazione in "Guerra e Pace" (1956), dagli anni '70 in poi avrà i migliori registi: Robert Altman, Paul Mazursky, Alain Resnais, André Delvaux, Jaime Camino, Barry Levinson. Si proverà anche come regista in proprio, riversando una buona dose di autobiografia in tentativi ambiziosi come "Kean" o"Senzafamiglia, nullatenenti cercano affetto" in coppia con Paolo Villaggio.
Tra i suoi premi c'è un Leone d'oro alla carriera al Festival di Venezia. Gassman finisce la sua carriera là dove l'aveva iniziata, in palcoscenico, tra l'intensa recitazione di pagine poetiche, una memorabile edizione della "Divina Commedia" e lo spettacolo "Ulisse e la balena bianca" che è una sorta di testamento artistico ed esistenziale.
Nella vita privata ha avuto tre mogli e tre compagne, tutte molto amate, da cui ha avuto quattro figli, tre dei quali ne hanno seguito le orme. Spirito irregolare e controcorrente, sulla sua lapide si legge la scritta: "Non fu mai impallato". Ne aveva parlato in un'intervista a Corrado Augias: "Sulla lapide si leggerà: Vittorio Gassman, fu attore. Poi una piccola chiosa, giù in fondo quasi illeggibile: Non fu mai impallato. È un termine tecnico cinematografico: è impallato ciò che si nasconde alla macchina da presa. Io mi sono sempre fatto vedere, mi sono esposto e, a teatro, credo addirittura d'aver avuto un certo coraggio, che per me, date le premesse, è il massimo".
Nella sua carriera, tra cinema e teatro, ha dato vita a centinaia di personaggi. Sul palcoscenico è stato Otello, Riccardo III, Macbeth o, alternativamente, Jago e Amleto nella storica versione del dramma di Shakespeare, messa in scena con Salvo Randone in cui i due protagonisti si scambiavano i ruoli principali ogni sera. La filmografia è sconfinata. Aveva iniziato con film drammatici come "Il lupo della Sila" di Coletti o "Anna" di Lattuada, per poi partecipare al neorealismo con il ruolo del lestofante in "Riso amaro" di De Santis. Ne "Il mattatore" era Gerardo il maestro della truffa, ne "L'armata Brancaleone" era lo sgangherato guerriero e in "L'arcidiavolo" addirittura Belfagor in persona.
In costume, in "Scipione detto l'Africano", aveva prestato il volto a Catone mentre tra le sue più celebri interpretazioni resta quella di "Profumo di donna", in cui è il cinico donnaiolo Fausto Consolo che progetta il suicidio. Difficile dimenticarlo in "C'eravamo tanto amati", dove vestiva i panni dell'avvocato arrivista Gianni che divide con Manfredi e Satta Flores l'amore per la stessa donna. Simbolo di un'epoca è il suo Bruno Cortona, il cialtrone che viaggia da Roma a Viareggio in auto nel "Sorpasso".
Se il teatro, anche con classici come "Un tram che si chiama desiderio" e "Troilo e Cressidra" diretto da Visconti o "Un marziano a Roma" di Flaiano, era la sua passione, con il cinema Gassman aveva 'affinato' le sue doti ironiche e comiche. Quando Monicelli gli affidò la parte del ladro balbuziente ne 'I soliti ignoti', tutti parlarono del Vittorio comico. Con gli stessi toni il 'mattatore' rese celebre il milanese Giovanni Busacca, sempre pronto a imboscarsi, de 'La grande guerra'.
Figlio di un ingegnere tedesco, passato per una breve stagione a Palmi, cresciuto a Roma e trasferito a Milano, poteva facilmente mimetizzarsi in ogni regione per la sua maniacale precisione nel ripetere tutte le inflessioni dialettali e regionali. Nella sua autobiografia raccontò la fatica della perfezione, l'infaticabile ricerca del dettaglio, la necessità di superarsi ogni volta.
Meno nota, ma non meno intensa è la carriera internazionale di Vittorio Gassman: da sempre, grazie alla conoscenza delle lingue, lo cercano le produzioni internazionali e, dopo la rivelazione in "Guerra e Pace" (1956), dagli anni '70 in poi avrà i migliori registi: Robert Altman, Paul Mazursky, Alain Resnais, André Delvaux, Jaime Camino, Barry Levinson. Si proverà anche come regista in proprio, riversando una buona dose di autobiografia in tentativi ambiziosi come "Kean" o"Senzafamiglia, nullatenenti cercano affetto" in coppia con Paolo Villaggio.
Tra i suoi premi c'è un Leone d'oro alla carriera al Festival di Venezia. Gassman finisce la sua carriera là dove l'aveva iniziata, in palcoscenico, tra l'intensa recitazione di pagine poetiche, una memorabile edizione della "Divina Commedia" e lo spettacolo "Ulisse e la balena bianca" che è una sorta di testamento artistico ed esistenziale.
Nella vita privata ha avuto tre mogli e tre compagne, tutte molto amate, da cui ha avuto quattro figli, tre dei quali ne hanno seguito le orme. Spirito irregolare e controcorrente, sulla sua lapide si legge la scritta: "Non fu mai impallato". Ne aveva parlato in un'intervista a Corrado Augias: "Sulla lapide si leggerà: Vittorio Gassman, fu attore. Poi una piccola chiosa, giù in fondo quasi illeggibile: Non fu mai impallato. È un termine tecnico cinematografico: è impallato ciò che si nasconde alla macchina da presa. Io mi sono sempre fatto vedere, mi sono esposto e, a teatro, credo addirittura d'aver avuto un certo coraggio, che per me, date le premesse, è il massimo".