4 Novembre 1966, Firenze viene devastata dall'alluvione
Cinquant'anni fa l'esondazione dell'Arno devastò la capitale dell'arte
Il 4 novembre del 1966 l'Arno straripa. È l'alluvione di Firenze. L'acqua invade la città intorno alle 3 di mattina, alle 12 sommerge piazza del Duomo, in San Niccolò supera i 5 metri. Comincia a defluire alle 8 della sera lasciando una delle città più amate del mondo inerme e devastata da acqua e fango. Il bilancio delle vittime è tragico: 35 persone perdono la vita, tra loro anche 4 bambini, Leonardo e Marina, entrambi di 3 anni, e le due sorelline di 6 e nove anni, Donatella e Giudalma. Tredicimila famiglie devono lasciare le proprie case. I danni materiali sono gravissimi: alla fine risulteranno distrutti o danneggiati 9.752 negozi, 8.548 botteghe, 248 alberghi, 600 aziende, 13.943 abitazioni, migliaia di automobili. L'evento lascia senza lavoro oltre 30.000 persone.
L'immenso patrimonio artistico rischia di andare perduto per sempre:migliaia di volumi e manoscritti rari giacciono sommersi dal fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, così come moltissime opere conservate nei depositi degli Uffizi. Per giorni le formelle divelte della Porta del Paradiso del Ghiberti, spalancata dalla furia dell'acqua, giacciono sommerse dal fango, ma il simbolo della tragedia diventa il Cristo di Cimabue, conservato nel cenacolo di Santa Croce. Ha perso il 70% della pittura e solo un difficilissimo restauro durato anni lo ha restituito alla città e al mondo che non è rimasto a guardare. Arriva a Firenze un esercito di giovani da tutta Italia e poi dalla Francia, dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti. Gente di ogni nazionalità che vuole salvare l'arte e la memoria della storia. Sono gli Angeli del fango che lavorano incessantemente scavando nel fango giorno e notte insieme alle forze armate.
Il ricordo dell'"angelo del fango" Monsignor Betori
Tra i ragazzi accorsi a Firenze per portare aiuto c'era Giuseppe, oggi cardinale Arcivescovo di Firenze. "Avevo poco più di 19 anni - ricorda - quando con un gruppo di altri seminaristi e preti del seminario Lombardo a Roma, dove ero appena giunto per iniziare i miei studi di teologia, arrivammo a Firenze per dare una mano alla popolazione. La città era invasa dal fango rimasto dopo che le acque dell'Arno si erano ritirate. Un'immagine per me ancora oggi indelebile. Armati di una pala e di un secchio ci fu assegnato il compito di liberare dalla melma le cantine e i primi piani delle case in un quartiere popolare periferico, nella zona di Badia a Ripoli. Trovammo una situazione di grande sofferenza. Le persone, pur mantenendo evidenti dignità e coraggio, avevano uno sguardo attonito su ciò che li circondava e il nostro esserci era per loro di grande aiuto e sollievo. Ci accoglievano tutti con affetto e riconoscenza. Furono giorni di tristezza, fatica, ma anche di solidarietà e speranza.
I soccorsi con i canotti
"La furia dell'acqua era impressionante. Detriti di ogni tipo venivano trascinati dalla corrente come proiettili. Poi il freddo, il forte odore di gasolio e il giorno dopo il fango. Così tanto fango che anche i pochi mezzi cingolati arrivati avanzavano a fatica nella melma". Sono i ricordi che tornano alla mente di Gino Cacace, 77 anni, vigile del fuoco del comando di Firenze che 50 anni fa, appena 25enne, fu chiamato a intervenire insieme a tanti altri suoi colleghi nella drammatica alluvione del 4 novembre del 1966. "Negli angoli delle strade, dove l'urbanistica aveva previsto curve e spallette, c'erano depositi di materiali accatastati: auto, biciclette, cartelli stradali, insegne dei negozi, letti, mobili, materassi, libri. Ovunque un forte odore di nafta, era il carburante utilizzato per alimentare le caldaie per il riscaldamento. La violenza dell'acqua, entrando nelle cantine, squarciò le cisterne e ne diffuse il contenuto in tutta la città", ricorda e racconta che il primo intervento di soccorso lo fece insieme a un collega a bordo di un piccolo canotto a remi "donato" da due boy scout".
I pattini da Viareggio
Canotti, ma anche pattini da salvataggio furono i primi mezzi usati per prestare soccorso. Questi ultimi arrivarono da Viareggio, portati dai bagnini che accorsero in settanta nel capoluogo toscano. Fra loro c'era Graziano Giannessi, all'epoca poco più che ventenne e oggi storico leader dei balneari versiliesi. "Inizialmente ci fermammo a Poggio a Caiano, in provincia di Prato - ricorda oggi - dove gran parte del Comune era alluvionato e l'acqua era arrivata fino ai secondi piani delle case. Con i nostri pattini, uno dei pochi mezzi che ci permetteva di muoverci anche negli spazi più angusti, aiutammo intere famiglie a mettersi in salvo". Pattini di salvataggio, che si rivelarono preziossissimi. Perché servirono anche per portare i generi di prima necessità alle famiglie rimaste isolate. "Chiedevano candele, perché in molte case era andata via la luce. Ma anche latte per i bambini, viveri, medicinali, e noi ininterrottamente a fare la spola di qua e di là, in ogni angolo della città".
L'importanza della memoria
Il raduno degli Angeli del fango, ovvero dei tanti volontari che da tutto il mondo vennero a Firenze dopo l'alluvione per dare una mano alla città, a cui è stato dedicato un francobollo, il consiglio comunale straordinario, la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la ricollocazione del restauro dell'"Ultima Cena" di Vasari in Santa Croce, una fiaccolata rievocativa da San Miniato a piazza Santa Croce, che ricorda quella analoga del 4 novembre 1967, a un anno dal disastro. E tante altre iniziative culturali, tra cui mostre, performance, video inediti. A cinquanta anni di distanza Firenze e la Toscana ricordano la drammatica alluvione del 4 novembre 1966 con un calendario di iniziative che per tutta la prima settimana di novembre accompagneranno cittadini e turisti in un viaggio nella memoria.
Conservare la memoria è importante per trasmettere, a chi non l'ha vissuta in prima persona e a chi in quei giorni non era ancora nato, tutta la complessità di eventi e sentimenti - tra dramma, solidarietà e voglia di ricominciare - che emersero in quel frangente. L'alluvione fu infatti un disastro ambientale che provocò drammi individuali e collettivi, che mise in ginocchio la città di Firenze e tanti territori attraversati dal corso del fiume Arno, e non solo, ma fu anche un evento di fronte al quale tanti cittadini, italiani e stranieri, seppero dimostrare la vicinanza alle popolazioni colpite, portando loro un contributo fondamentale per la salvaguardia del patrimonio artistico e librario.
L'immenso patrimonio artistico rischia di andare perduto per sempre:migliaia di volumi e manoscritti rari giacciono sommersi dal fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, così come moltissime opere conservate nei depositi degli Uffizi. Per giorni le formelle divelte della Porta del Paradiso del Ghiberti, spalancata dalla furia dell'acqua, giacciono sommerse dal fango, ma il simbolo della tragedia diventa il Cristo di Cimabue, conservato nel cenacolo di Santa Croce. Ha perso il 70% della pittura e solo un difficilissimo restauro durato anni lo ha restituito alla città e al mondo che non è rimasto a guardare. Arriva a Firenze un esercito di giovani da tutta Italia e poi dalla Francia, dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti. Gente di ogni nazionalità che vuole salvare l'arte e la memoria della storia. Sono gli Angeli del fango che lavorano incessantemente scavando nel fango giorno e notte insieme alle forze armate.
Il ricordo dell'"angelo del fango" Monsignor Betori
Tra i ragazzi accorsi a Firenze per portare aiuto c'era Giuseppe, oggi cardinale Arcivescovo di Firenze. "Avevo poco più di 19 anni - ricorda - quando con un gruppo di altri seminaristi e preti del seminario Lombardo a Roma, dove ero appena giunto per iniziare i miei studi di teologia, arrivammo a Firenze per dare una mano alla popolazione. La città era invasa dal fango rimasto dopo che le acque dell'Arno si erano ritirate. Un'immagine per me ancora oggi indelebile. Armati di una pala e di un secchio ci fu assegnato il compito di liberare dalla melma le cantine e i primi piani delle case in un quartiere popolare periferico, nella zona di Badia a Ripoli. Trovammo una situazione di grande sofferenza. Le persone, pur mantenendo evidenti dignità e coraggio, avevano uno sguardo attonito su ciò che li circondava e il nostro esserci era per loro di grande aiuto e sollievo. Ci accoglievano tutti con affetto e riconoscenza. Furono giorni di tristezza, fatica, ma anche di solidarietà e speranza.
I soccorsi con i canotti
"La furia dell'acqua era impressionante. Detriti di ogni tipo venivano trascinati dalla corrente come proiettili. Poi il freddo, il forte odore di gasolio e il giorno dopo il fango. Così tanto fango che anche i pochi mezzi cingolati arrivati avanzavano a fatica nella melma". Sono i ricordi che tornano alla mente di Gino Cacace, 77 anni, vigile del fuoco del comando di Firenze che 50 anni fa, appena 25enne, fu chiamato a intervenire insieme a tanti altri suoi colleghi nella drammatica alluvione del 4 novembre del 1966. "Negli angoli delle strade, dove l'urbanistica aveva previsto curve e spallette, c'erano depositi di materiali accatastati: auto, biciclette, cartelli stradali, insegne dei negozi, letti, mobili, materassi, libri. Ovunque un forte odore di nafta, era il carburante utilizzato per alimentare le caldaie per il riscaldamento. La violenza dell'acqua, entrando nelle cantine, squarciò le cisterne e ne diffuse il contenuto in tutta la città", ricorda e racconta che il primo intervento di soccorso lo fece insieme a un collega a bordo di un piccolo canotto a remi "donato" da due boy scout".
I pattini da Viareggio
Canotti, ma anche pattini da salvataggio furono i primi mezzi usati per prestare soccorso. Questi ultimi arrivarono da Viareggio, portati dai bagnini che accorsero in settanta nel capoluogo toscano. Fra loro c'era Graziano Giannessi, all'epoca poco più che ventenne e oggi storico leader dei balneari versiliesi. "Inizialmente ci fermammo a Poggio a Caiano, in provincia di Prato - ricorda oggi - dove gran parte del Comune era alluvionato e l'acqua era arrivata fino ai secondi piani delle case. Con i nostri pattini, uno dei pochi mezzi che ci permetteva di muoverci anche negli spazi più angusti, aiutammo intere famiglie a mettersi in salvo". Pattini di salvataggio, che si rivelarono preziossissimi. Perché servirono anche per portare i generi di prima necessità alle famiglie rimaste isolate. "Chiedevano candele, perché in molte case era andata via la luce. Ma anche latte per i bambini, viveri, medicinali, e noi ininterrottamente a fare la spola di qua e di là, in ogni angolo della città".
L'importanza della memoria
Il raduno degli Angeli del fango, ovvero dei tanti volontari che da tutto il mondo vennero a Firenze dopo l'alluvione per dare una mano alla città, a cui è stato dedicato un francobollo, il consiglio comunale straordinario, la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la ricollocazione del restauro dell'"Ultima Cena" di Vasari in Santa Croce, una fiaccolata rievocativa da San Miniato a piazza Santa Croce, che ricorda quella analoga del 4 novembre 1967, a un anno dal disastro. E tante altre iniziative culturali, tra cui mostre, performance, video inediti. A cinquanta anni di distanza Firenze e la Toscana ricordano la drammatica alluvione del 4 novembre 1966 con un calendario di iniziative che per tutta la prima settimana di novembre accompagneranno cittadini e turisti in un viaggio nella memoria.
Conservare la memoria è importante per trasmettere, a chi non l'ha vissuta in prima persona e a chi in quei giorni non era ancora nato, tutta la complessità di eventi e sentimenti - tra dramma, solidarietà e voglia di ricominciare - che emersero in quel frangente. L'alluvione fu infatti un disastro ambientale che provocò drammi individuali e collettivi, che mise in ginocchio la città di Firenze e tanti territori attraversati dal corso del fiume Arno, e non solo, ma fu anche un evento di fronte al quale tanti cittadini, italiani e stranieri, seppero dimostrare la vicinanza alle popolazioni colpite, portando loro un contributo fondamentale per la salvaguardia del patrimonio artistico e librario.