40 anni fa l'assassinio di Giorgiana Masi, le immagini di quel 12 maggio
#AccaddeOggi 12 maggio 1977, per l'omicidio della studentessa 19enne durante la manifestazione nonviolenta organizzata dal Partito Radicale per celebrare l'anniversario della vittoria nel referendum sul divorzio, non è mai stata fatta giustizia.
La targa di bronzo a Ponte Garibaldi in memoria dice che Giorgiana Masi fu uccisa "dalla violenza del regime", ma questa verità storica non ha mai ricevuto, in quaranta anni, la sanzione di un tribunale italiano: nessun colpevole.
Quel 12 maggio di 40 anni fa Giorgiana Masi era in piazza per celebrare l'anniversario della vittoria nel referendum che, tre anni prima aveva sconfitto il tentativo di abrogare la legge sul divorzio in una manifestazione organizzata dal Partito Radicale per raccogliere le firme su otto referendum che, tra l'altro, intendevano cancellare alcune delle leggi emergenziali approvate in quegli "anni di piombo" e di "compromesso storico" per fronteggiare la violenza e il terrorismo.
Proprio in nome di questa emergenza, l'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga aveva emeanato per quel 12 maggio un divieto di manifestazione che i radicali intendevano sfidare con una manifestazione pacifica e nonviolenta. Ma presto iniziarono gli scontri che culminarono alle 19:55 quando, in piazza Gioacchino Belli, Giorgiana Masi fu colpita all'addome da una pallottola calibro 22.
Nel film prodotto dal Partito Radicale e da Lotta Continua e fatto circolare qualche tempo dopo i fatti, si documenta l'uso delle pistole ad altezza d'uomo da parte degli agenti in borghese mescolati ai manifestanti durante la manifestazione:
Qesta invece la denuncia di Marco Pannella che durante una Tribuna Politica mostra le foto dei poliziotti travestiti da manifestanti con le P38:
A metà degli anni 2000 Francesco Cossiga riaccese la polemica alludendo al fatto che Giorgiana Masi sarebbe stata uccisa da "fuoco amico". Cossiga "continua a mentire" rispose allora indignato lo stesso Pannella. A distanza di 40 anni rimane una sola "verità" processuale, l'archiviazione del 9 maggio del 1981 disposta dal giudice Claudio D'Angelo con il non luogo a procedere per essere rimasti ignoti i responsabili. Vani da allora i tentativi della famiglia di convincere la magistratura a riaprire il caso.