Afrofuturismo. Così Black Panther sposta i confini del nostro presente prossimo
La Pantera Nera fece la sua prima apparizione nel numero 52 del primo volume di Fantastic Four, pubblicato nel 1966
Il vero colpo di scena di Black Panther, il nuovo film della Marvel, non è nelle sequenze d'azione e nelle svolte narrative ma, a sentire il tam-tam (mai termine fu più appropriato) in rete, il fatto di presentare un protagonista nero e soprattutto immerso in uno scenario africano futuristico e tecnologico. La storia di T’Challa, un giovane re che si trasforma in super eroe, viene apparentemente fatta confluire nel sempre più popolare Afrofuturismo, corrente culturale nata negli anni settanta. Il film sembra quasi il nuovo manifesto di questa estetica, che mescola fantasy e tradizioni tribali. "Non si tratta di dimenticare il passato - afferma il professor Louis Chude-Sokei, che ha la cattedra di studi afroamericani a Boston, ma di ridisegnare il passato verso il futuro". E tra gli antesignani cita i libri di Octavia Butler, il tenente Uhura di Star Trek, i look di Grace Jones (citata nel film) e di Beyonce. Questo supereroe proviene da un Paese nel bel mezzo dell’Africa che per anni è stato ammantato di segretezza. Una nazione all’avanguardia tecnologicamente avanzata che sorpassa qualsiasi altro Paese del pianeta, tra grattacieli e macchine volanti.