Anno nuovo, Inno nuovo. L'Australia cambia il testo in nome degli aborigeni
Via la parola contestata "Young": "giovani e liberi" diventa "uniti e liberi"
Con l'anno nuovo, cambia l'inno nazionale australiano: una sola parola, "young", viene sostituita da "one", in omaggio ai nativi di una nazione che, ben lungi dall'essere "giovane", affonda le sue radici nel territorio del continente da 50-60 mila anni almeno.
Da oggi le prime due strofe di "Advance Australia Fair" (Avanti, Australia giusta), scritto nell'800 da Peter Dodds McCormick e usato come inno non ufficiale fino al 1984, quando sostituì "God Save the Queen", recitano: "Australiani tutti rallegriamoci, perché siamo uniti e liberi" e non più "giovani e liberi". Parole, queste ultime, considerate discriminatorie perché riconoscevano solo la nazione "bianca", coloniale, che esiste da 250 anni, disconoscendo invece quelle decine di popoli nativi che un tempo andavano cumulativamente sotto la denominazione di Aborigeni, ma alla quale oggi, dopo un lungo dibattito, si preferisce il termine, universalmente considerato socialmente e politicamente corretto, di Prime nazioni (First Nations).
Ultimo, simbolico atto di un Paese "giovane" - è formalmente indipendente solo dal 1942 - che da decenni sta cercando di sanare le ferite coloniali e postcoloniali. Il Governor-General David Hurley, rappresentante della Regina Elisabetta e del Commonwealth on Australia, è stato uno dei primi a commentare positivamente, seguito dal primo ministro conservatore Scott Morrison, secondo il quale il cambiamento è stato fatto per tutti gli australiani.
"Durante l'anno passato abbiamo dimostrato ancora una volta lo spirito indomito degli australiani e lo sforzo unitario che ci ha sempre consentito di vincere come nazione", ha detto il premier, riferendosi allo "spirito unitario" forgiato dalla reazione alla pandemia di Covid-19 e all'emergenza incendi. "Se l'Australia come nazione moderna è relativamente giovane - ha detto -, la storia di questo Paese è antichissima, come lo sono le storie dei molti popoli delle Prime nazioni, le cui radicata presenza doverosamente riconosciamo e rispettiamo".
Per Morrison, il simbolico cambiamento nel testo "riconosce quanta strada abbiamo fatto come nazione. Riconosce che la nostra storia nazionale è alimentata da 300 discendenze etniche e gruppi linguistici, che fanno di noi la nazione multiculturale di maggiore successo al mondo". Il capo dell'opposizione laburista, Anthony Albanese, si è spinto oltre, affermando che tutti devono esser fieri del fatto che l'Australia ha nelle sue Prime nazioni "la più antica civiltà ancora in vita del pianeta". Il ministro per gli indigeni australiani Ken Wyatt ha dichiarato di essere stato interrogato sul cambiamento e di aver dato il suo sostegno.
Insomma si è trattato di un riconoscimento simbolico che ha messo d'accordo tutti, dopo il recente exploit dell'inno nazionale cantato per la prima volta in un'occasione ufficiale in una lingua diversa dall'inglese: nell'idioma Eora, parlato da un'etnia nativa che abita nella regione di Sydney, come l'ha intonato una giovanissima cantante di radici aborigene, Olivia Fox, prima di una partita della nazionale di rugby.
Da oggi le prime due strofe di "Advance Australia Fair" (Avanti, Australia giusta), scritto nell'800 da Peter Dodds McCormick e usato come inno non ufficiale fino al 1984, quando sostituì "God Save the Queen", recitano: "Australiani tutti rallegriamoci, perché siamo uniti e liberi" e non più "giovani e liberi". Parole, queste ultime, considerate discriminatorie perché riconoscevano solo la nazione "bianca", coloniale, che esiste da 250 anni, disconoscendo invece quelle decine di popoli nativi che un tempo andavano cumulativamente sotto la denominazione di Aborigeni, ma alla quale oggi, dopo un lungo dibattito, si preferisce il termine, universalmente considerato socialmente e politicamente corretto, di Prime nazioni (First Nations).
Ultimo, simbolico atto di un Paese "giovane" - è formalmente indipendente solo dal 1942 - che da decenni sta cercando di sanare le ferite coloniali e postcoloniali. Il Governor-General David Hurley, rappresentante della Regina Elisabetta e del Commonwealth on Australia, è stato uno dei primi a commentare positivamente, seguito dal primo ministro conservatore Scott Morrison, secondo il quale il cambiamento è stato fatto per tutti gli australiani.
"Durante l'anno passato abbiamo dimostrato ancora una volta lo spirito indomito degli australiani e lo sforzo unitario che ci ha sempre consentito di vincere come nazione", ha detto il premier, riferendosi allo "spirito unitario" forgiato dalla reazione alla pandemia di Covid-19 e all'emergenza incendi. "Se l'Australia come nazione moderna è relativamente giovane - ha detto -, la storia di questo Paese è antichissima, come lo sono le storie dei molti popoli delle Prime nazioni, le cui radicata presenza doverosamente riconosciamo e rispettiamo".
Per Morrison, il simbolico cambiamento nel testo "riconosce quanta strada abbiamo fatto come nazione. Riconosce che la nostra storia nazionale è alimentata da 300 discendenze etniche e gruppi linguistici, che fanno di noi la nazione multiculturale di maggiore successo al mondo". Il capo dell'opposizione laburista, Anthony Albanese, si è spinto oltre, affermando che tutti devono esser fieri del fatto che l'Australia ha nelle sue Prime nazioni "la più antica civiltà ancora in vita del pianeta". Il ministro per gli indigeni australiani Ken Wyatt ha dichiarato di essere stato interrogato sul cambiamento e di aver dato il suo sostegno.
Insomma si è trattato di un riconoscimento simbolico che ha messo d'accordo tutti, dopo il recente exploit dell'inno nazionale cantato per la prima volta in un'occasione ufficiale in una lingua diversa dall'inglese: nell'idioma Eora, parlato da un'etnia nativa che abita nella regione di Sydney, come l'ha intonato una giovanissima cantante di radici aborigene, Olivia Fox, prima di una partita della nazionale di rugby.