Camicie di forza, frustini fetish, colore e trasparenze, la rivoluzione di Gucci contro le regole
Alessandro Michele e la sua moda come forma di auto-espressione, arma per liberarsi dagli stereotipi
Un tapis roulant trasporta modelle dallo sguardo vuoto, i piedi nudi, i corpi costretti in abiti e tute che ricordano le camicie di forza. Le luci si spengono prima di riaccendersi a ritmo di musica e dare il via alla sfilata. Una voce dice: "I'm not a normal person" e le modelle e i modelli cominciano a camminare in senso contrario. In platea Iggy Pop, Jared Leto, Sienna Miller.
Il messaggio è chiaro: buttare le divise, non farsi ingabbiare dalle regole imposte dalla società. L'arma è la moda che, spiega Alessandro Michele, dal 2015 direttore creativo e maestro del rilancio di Gucci, "con la sua apparente futilità ha restituito la libertà, anche dagli stereotipi", ma che fa parte del sistema. Ammette di aver provato a distruggerla, destrutturarla in modo poetico nelle sue prime collezioni, adesso lo fa ribaltando gli stereotipi.
Così elementi da sempre presenti nel marchio Gucci come quelli prestati dal mondo equestre sono presentati in chiave fetish: i frustini sostituiscono le pochette, i guanti sono lunghi, di vernice rossa o nera, e le ghette proposte in maglia metallica, le cartucciere sono porta rossetti. "Ho messo gli ingredienti del brand in maniera mia, perversa, perché è evidente che seguire la moda è da veri pervertiti, persino un po' sadomaso". In passerella va in scena l'eleganza, filo conduttore, di ogni singola mise, perché dice Michele, gli stereotipi vanno cavalcati. E allora ecco i golfini bon ton a manica corta portati con lunghi guanti in pelle e gonne a matita trasparenti, giusto un velo, con spacco vertiginoso, e abiti sottoveste di pizzo, con inserti patchwork in pelle e pvc, le tuniche plissé e quelle intagliate con i fiori, i top dorati che illuminano tweed rigorosi tailleur sdrammatizzati da tocchi di colore in contrasto nella scelta degli accessori. Prevalgono le linee morbide, le lunghezze sotto al ginocchio vagamente anni 70 come per i pantaloni degli uomini "sexy e spaventosi con le loro giacche asciutte", gli stivali texani, i cappotti rosa dal taglio femminile con la manica a tre quarti.
Verde e lilla, rosso e crema, ruggine, tocchi di viola per una collezione decisamente fluida e "orgasmica", come annuncia il titolo, colorata, in opposizione all'ouverture che non è piaciuta a tutti tanto che c'è chi ha chiesto se veramente le camicie di forza fossero in vendita costringendo la maison fiorentina a a fare chiarezza: ''Divise, abiti da lavoro e indumenti di costrizione, inclusa la camicia di forza, sono stati inseriti in apertura della sfilata Gucci Spring Summer 2020 come la versione più estrema di un'uniforme imposta dalla società e da coloro che la controllano - si legge in una nota diramata dall'azienda -. Questi abiti hanno avuto unicamente la funzione di veicolare un preciso messaggio e non faranno parte della collezione in vendita''. ''Presentandoli - prosegue la nota - Alessandro Michele ha voluto esprimere come, attraverso la moda, il potere viene esercitato sulla vita al fine di eliminare l'auto espressione. Un potere che, dettando le norme sociali, classifica e frena le identità personali''. ''L'antidoto del direttore creativo di Gucci a questo concetto è rappresentato dagli 89 look della collezione Spring Summer 2020, che trasmettono il concetto di moda come strumento di esplorazione e auto-espressione, coltivando la bellezza e rendendo la diversità sacrosanta'' conclude la nota.
La protesta della modella
Il riferimento alle camicie forzate non è piaciuto alla modella Ayesha Tan Jones che ha alzato le mani in passerella mostrando la scritta "Mental Health is not fashion". Su Instagram ha spiegato il significato della sua pacifica protesta:
“Come artista e modella che ha vissuto sulla propria pelle la battaglia con la salute mentale, così come successo a familiari e amici che hanno sofferto di depressione, ansia, bipolarismo e schizofrenia, è doloroso e insensibile per una grande casa di moda come Gucci usare questa immagine come concetto superficiale per un momento fashion”.
“Molte persone con problemi mentali sono ancora stigmatizzate sul luogo di lavoro e nella vita quotidiana, mentre molte persone non considerano i problemi mentali come vere malattie in quanto non visibili. Le camicie di forza sono simboli di un tempo in cui la medicina era crudele e la malattia mentale non era capita, di un tempo in cui alle persone venivano tolti libertà e diritti mentre venivano abusati e torturati dalle istituzioni. È di cattivo gusto per Gucci usare l’immagine delle camicie di forza e outfit che alludono ai pazienti psichiatrici mentre sono immobili su nastri trasportatori come fossero pezzi di carne da macello. Mostrare queste malattie come oggetti di scena per vendere i vestiti nel sistema capitalista di oggi è offensivo per quei milioni di persone nel mondo afflitte da questi problemi”.
In un altro post ha poi spiegato di aver devoluto il compenso ricevuto aver sfilato a un centro che si occupa di sostegno ai malati di mente.
Il messaggio è chiaro: buttare le divise, non farsi ingabbiare dalle regole imposte dalla società. L'arma è la moda che, spiega Alessandro Michele, dal 2015 direttore creativo e maestro del rilancio di Gucci, "con la sua apparente futilità ha restituito la libertà, anche dagli stereotipi", ma che fa parte del sistema. Ammette di aver provato a distruggerla, destrutturarla in modo poetico nelle sue prime collezioni, adesso lo fa ribaltando gli stereotipi.
Così elementi da sempre presenti nel marchio Gucci come quelli prestati dal mondo equestre sono presentati in chiave fetish: i frustini sostituiscono le pochette, i guanti sono lunghi, di vernice rossa o nera, e le ghette proposte in maglia metallica, le cartucciere sono porta rossetti. "Ho messo gli ingredienti del brand in maniera mia, perversa, perché è evidente che seguire la moda è da veri pervertiti, persino un po' sadomaso". In passerella va in scena l'eleganza, filo conduttore, di ogni singola mise, perché dice Michele, gli stereotipi vanno cavalcati. E allora ecco i golfini bon ton a manica corta portati con lunghi guanti in pelle e gonne a matita trasparenti, giusto un velo, con spacco vertiginoso, e abiti sottoveste di pizzo, con inserti patchwork in pelle e pvc, le tuniche plissé e quelle intagliate con i fiori, i top dorati che illuminano tweed rigorosi tailleur sdrammatizzati da tocchi di colore in contrasto nella scelta degli accessori. Prevalgono le linee morbide, le lunghezze sotto al ginocchio vagamente anni 70 come per i pantaloni degli uomini "sexy e spaventosi con le loro giacche asciutte", gli stivali texani, i cappotti rosa dal taglio femminile con la manica a tre quarti.
Verde e lilla, rosso e crema, ruggine, tocchi di viola per una collezione decisamente fluida e "orgasmica", come annuncia il titolo, colorata, in opposizione all'ouverture che non è piaciuta a tutti tanto che c'è chi ha chiesto se veramente le camicie di forza fossero in vendita costringendo la maison fiorentina a a fare chiarezza: ''Divise, abiti da lavoro e indumenti di costrizione, inclusa la camicia di forza, sono stati inseriti in apertura della sfilata Gucci Spring Summer 2020 come la versione più estrema di un'uniforme imposta dalla società e da coloro che la controllano - si legge in una nota diramata dall'azienda -. Questi abiti hanno avuto unicamente la funzione di veicolare un preciso messaggio e non faranno parte della collezione in vendita''. ''Presentandoli - prosegue la nota - Alessandro Michele ha voluto esprimere come, attraverso la moda, il potere viene esercitato sulla vita al fine di eliminare l'auto espressione. Un potere che, dettando le norme sociali, classifica e frena le identità personali''. ''L'antidoto del direttore creativo di Gucci a questo concetto è rappresentato dagli 89 look della collezione Spring Summer 2020, che trasmettono il concetto di moda come strumento di esplorazione e auto-espressione, coltivando la bellezza e rendendo la diversità sacrosanta'' conclude la nota.
La protesta della modella
Il riferimento alle camicie forzate non è piaciuto alla modella Ayesha Tan Jones che ha alzato le mani in passerella mostrando la scritta "Mental Health is not fashion". Su Instagram ha spiegato il significato della sua pacifica protesta:
“Come artista e modella che ha vissuto sulla propria pelle la battaglia con la salute mentale, così come successo a familiari e amici che hanno sofferto di depressione, ansia, bipolarismo e schizofrenia, è doloroso e insensibile per una grande casa di moda come Gucci usare questa immagine come concetto superficiale per un momento fashion”.
“Molte persone con problemi mentali sono ancora stigmatizzate sul luogo di lavoro e nella vita quotidiana, mentre molte persone non considerano i problemi mentali come vere malattie in quanto non visibili. Le camicie di forza sono simboli di un tempo in cui la medicina era crudele e la malattia mentale non era capita, di un tempo in cui alle persone venivano tolti libertà e diritti mentre venivano abusati e torturati dalle istituzioni. È di cattivo gusto per Gucci usare l’immagine delle camicie di forza e outfit che alludono ai pazienti psichiatrici mentre sono immobili su nastri trasportatori come fossero pezzi di carne da macello. Mostrare queste malattie come oggetti di scena per vendere i vestiti nel sistema capitalista di oggi è offensivo per quei milioni di persone nel mondo afflitte da questi problemi”.
In un altro post ha poi spiegato di aver devoluto il compenso ricevuto aver sfilato a un centro che si occupa di sostegno ai malati di mente.