Circeo, scoperti i resti di nove uomini di Neanderthal
Franceschini: "Una scoperta straordinaria di cui parlerà tutto il mondo"
"Con questa campagna di scavo abbiamo trovato numerosi individui, una scoperta che permetterà di gettare una luce importante sulla storia del popolamento dell'Italia. L'uomo di Neanderthal è una tappa fondamentale dell'evoluzione umana, rappresenta il vertice di una specie ed è la prima società umana di cui possiamo parlare'', ha spiegato Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Frosinone e Latina.
Intervista a Mario Rubini
Un viaggio nel tempo
La grotta racconta una storia, un viaggio nel tempo lungo oltre centomila anni. Lì ominidi cercarono riparo per scaldarsi, dormire, difendersi dall'agguato delle fiere, affilare le armi per la caccia e lì portarono i loro trofei. Erano uomini di Neanderthal, i 'cugini' più anziani e poi misteriosamente estinti dell'homo sapiens, e là dove ora si trovano spiagge e terre coltivate c'erano praterie, popolate da animali feroci, iene, rinoceronti, orsi delle caverne, megalocervi oppure antichi come l'uro, una razza di bovino poi estinta.
Scoperta casualmente nel 1939, la Grotta Guattari, studiata a suo tempo dal paleontologo Alberto Carlo Blanc, deve la sua eccezionalità a un crollo che circa 60 mila anni fa l'ha sepolta sigillandone l'apertura e facendo sì che tutto si mantenesse così com'era, in pratica una sorta di capsula del tempo. Proprio per questo e per il ritrovamento allora di una calotta cranica straordinariamente ben conservata è stata subito annoverata tra i siti più importanti al mondo per lo studio dell'uomo di Neanderthal. Il nuovo intervento, fatto con l'aiuto di tecnologie e competenze che 80 anni fa non erano neppure immaginabili e allargato a una zona della grotta che non era mai stata indagata neppure da Blanc, apre ora scenari di enorme interesse per la ricerca, spiega Francesco Di Mario, il funzionario archeologo della soprintendenza che dirige lo scavo.
Intervista a Francesco Di Mario
Le ricerche, per la prima volta, hanno infatti riguardato quella parte che l'antropologo Alberto Carlo Blanc ha chiamato ''Laghetto'' per la presenza di acqua nei mesi invernali. Proprio in quell'area sono stati rinvenuti diversi resti umani, tra cui una calotta cranica, un frammento di occipitale, frammenti di cranio (tra i quali si segnalano due emifrontali), frammenti di mandibola, due denti, tre femori parziali e altri frammenti in corso di identificazione.
Gli scheletri ritrovati
Gli scheletri umani ricomposti, racconta, "appartengono tutti a individui adulti, fatta eccezione forse solo per uno che potrebbe essere di un giovane". Tra loro una sola femmina. Ma non si tratta di persone vissute tutte nella stessa epoca: i più vicini a noi sarebbero vissuti tra i 50 mila ed i 68 mila anni fa, il più antico addirittura tra i 100 mila ed i 90 mila anni fa.
Adesso tutto questo materiale dovrà essere studiato, ma già dalle prime indagini sono arrivate tantissime informazioni. Dall'analisi dei denti, per esempio, si vede che la loro dieta era molto variata, mangiavano molti cereali. La speranza è che gli studi consentano di svelare alcuni punti oscuri. Uno in particolare, legato proprio alla Grotta laziale, dove tutti i crani ritrovati presentano una larga apertura alla base, come se qualcuno li avesse aperti apposta per mangiarne il cervello. Secondo gli antropologi "potrebbe essere stato l'uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo, e potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso". Molte delle ossa rinvenute mostrano chiari segni di rosicchiamento: le iene erano solite trascinare le prede nella tana usando la grotta come riparo e deposito di cibo.
L'enigma del cranio aperto
Nel 1939, quando venne ritrovato il primo cranio, poggiato in terra al centro di quello che sembrava un cerchio di pietre, si era pensato a un rito di cerebrofagia. Il paleontologo Alberto Carlo Blanc aveva parlato allora di "cannibalismo rituale" e a dimostrazione della sua teoria aveva fatto una comparazione con una collezione di crani provenienti dalle tribù antropofaghe della Melanesia. Il ritrovamento oggi di altri teschi con le stesse caratteristiche potrebbe far pensare a una conferma dell'ipotesi avanzata dal paleontologo novecentesco, peraltro poi largamente discussa e contestata dagli studi successivi nei quali altri studiosi hanno immaginato come più probabile che il cranio fosse stato svuotato invece da un animale, facilmente le stesse iene che nell'ultimo periodo di 'vita' della grotta l'hanno abitata facendone la loro tana. La realtà, avverte oggi Rubini, è che le possibilità da valutare sono diverse. "Dobbiamo considerare che nel nostro mestiere quello che ci troviamo sotto gli occhi è sempre il frutto dell'ultima 'mano' intervenuta - spiega -. Potrebbe quindi essere stato l'uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, oppure potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo per assicurarsi un cibo dalle alte qualità nutrienti, oppure ancora potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso".
Lo studio del clima - Intervista a Mario Rolfo
''Lo studio geologico e sedimentologico di questo deposito - ha evidenziato Mario Rolfo, docente di archeologia preistorica dell'Università degli studi di Roma Tor Vergata - ci farà capire i cambiamenti climatici intervenuti tra 120 mila e 60 mila anni fa, attraverso lo studio delle specie animali e dei pollini, permettendoci di ricostruire la storia del Circeo e della pianura pontina'.