Rigopiano. Il 18 il ricordo delle vittime. Il giorno prima dai pm gli indagati per depistaggio
Dopo la tragedia, la nostra inviata Isabella Romano - entrando nella zona rossa - mostrò gli effetti devastanti della valanga che spazzò via il resort: ve le riproponiamo in tutta la sua drammaticità
Era il 18 gennaio 2017, quando una valanga travolse l'albergo Rigopiano di Farindola, nel pescarese. Il bilancio fu pesantissimo: 29 morti, 11 superstiti miracolosamente sopravvissuti dopo essere rimasti ore e ore tra le macerie della struttura sommersa dalla slavina. A due anni di distanza - in ricordo delle vittime - verrà organizzata una fiaccolata dal punto in cui sorgeva il resort fino a Farindola, una messa, poi a Penne la commemorazione. Sul fronte delle indagini, intanto, il 17 gennaio, sono previsti gli interrogatori - come anticipa il quotidiano 'Il Centro' - dei sette indagati della Prefettura di Pescara, con in testa l'ex prefetto Francesco Provolo, coinvolti nel procedimento parallelo a quello sulla tragedia.
18 gennaio 2017: la tragedia
Erano i giorni della grande emergenza neve e tutto l'Abruzzo soffriva dei disagi dell'isolamento. Nella regione, già sconvolta dal maltempo, la mattina del 18 gennaio si verificarono tre scosse di terremoto di magnitudo importante. All'interno dell'hotel in quel momento c'erano quaranta persone (28 ospiti, di cui quattro bambini e 12 dipendenti), rimasti 'imprigionati', dopo che la forte nevicata aveva bloccato la strada che collegava il rifugio col fondovalle: nonostante gli appelli non si era riusciti a trovare una turbina spazzaneve per liberare il percorso.
Intorno alle 17 un blocco di neve e detriti si staccò dalla montagna alle spalle del resort, una struttura moderna, realizzata a quota 1.200 metri sul versante pescarese del Gran Sasso. L'albergo fu completamente travolto: la slavina ne sfondò le pareti e lo spostò di circa dieci metri verso valle.
A dare l'allarme della valanga, quasi in diretta, fu il cuoco Giampiero Parete, che, chiuso nell'auto fuori dalla hall, vide la valanga abbattersi sull'hotel e riuscì ad avvisare al telefono il suo datore di lavoro Quintino Marcella. Nell'albergo c'erano anche la moglie e i due figli di Parete, tra gli 11 superstiti.
Marcella si attaccò al telefono per chiamare i soccorsi, ma per tanto, troppo tempo nessuno volle credere alle sue parole: la colonna dei soccorsi partì solo tra le 19.30 e le 20.00 e ci vollero ore per raggiungere l'albergo. I primi sopravvissuti vennero trovati solo dopo 30 ore, mentre ci vollero 62 ore per estrarre vivo l'ultimo degli 11 superstiti della tragedia.
"Non lo diciamo noi, ma le carte che ha fatto una telefonata alle ore 11.38, il nostro sconforto è sapere che le vittime potevano essere salvate. Cinque ore - sottolineano i rappresentanti del Comitato delle vittime ricordando che la slavina ha spazzato via l'hotel nel pomeriggio - erano sufficienti. Le vittime potevano essere salvate".
Un altro elemento su cui i familiari chiedono chiarezza è l'uso o meno degli elicotteri: "Sono stati chiamati gli elicotteri per i soccorsi sì o no? E se non sono stati chiamati, perché?", affermano dal Comitato.
"Sappiamo che è un'indagine difficile, ma la colpa della slavina non è stata del terremoto" e delle scosse che si registrarono quel giorno bensì "di gente che non ha fatto bene il suo lavoro". E sul presunto depistaggio, i parenti delle vittime non hanno dubbi: "E' stato possibile perché nessuno è stato subito rimosso dal suo posto di lavoro".
La battaglia dei parenti, oltre ad ottenere la verità, punta a ottenere una "'legge Rigopiano', che prende spunto dalla legge 'Viareggio'", l provvedimento relativo agli indennizzi per i parenti delle 32 vittime della strage alla stazione ferroviaria. "Noi non cerchiamo soldi, ma fondi per combattere ad armi pari contro le istituzioni che hanno preso i migliori legali e per aiutare parenti di vittime, come gli orfani, che non riescono a risollevarsi", continuano Gianluca Tanda, Marcello Martella e Marco Foresta.
Le indagini. Il 17 saranno ascoltati dai pm i 7 indagati per frode processuale
A novembre la procura di Pescara ha chiuso le indagini su quanto accaduto quel drammatico giorno indagando 25 persone. Un fascicolo 'bis' è stato poi aperto per depistaggio e frode processuale, con sette indagati, per fare luce sulla cosiddetta 'telefonata fantasma' che ricostruisce le ore drammatiche dalla mattina del 18 gennaio del 2017, quando Gabriele D'Angelo, cameriere della struttura, spaventato dalle forti scosse di terremoto, chiese l'evacuazione dell'hotel isolato dalla neve.
L'11 gennaio - a tutti e 7 gli indagati sono stati notificati dai carabinieri forestali gli avvisi di garanzia con il contestuale invito a sottoporsi a interrogatorio. La contestazione - come abbiamo ricordato - parla di violazione dell'art. 375 del codice penale: frode processuale e depistaggio, per aver sottratto prove e documenti relativi all'inchiesta che era in corso, richiesti dalla procura attraverso la squadra mobile.
Gli indagati avranno così la possibilità, se accetteranno di sottoporsi all'interrogatorio chiesto dai pm, di fare chiarezza su quanto accaduto nella sala operativa e in quelle drammatiche ore dell'emergenza prima e dopo la tragedia. Per accelerare i tempi i due magistrati si sono divisi gli interrogatori: alcuni degli indagati verranno ascoltati dal procuratore Serpi, altri dal sostituto Papalia, ma tutti il 17 gennaio.
18 gennaio 2017: la tragedia
Erano i giorni della grande emergenza neve e tutto l'Abruzzo soffriva dei disagi dell'isolamento. Nella regione, già sconvolta dal maltempo, la mattina del 18 gennaio si verificarono tre scosse di terremoto di magnitudo importante. All'interno dell'hotel in quel momento c'erano quaranta persone (28 ospiti, di cui quattro bambini e 12 dipendenti), rimasti 'imprigionati', dopo che la forte nevicata aveva bloccato la strada che collegava il rifugio col fondovalle: nonostante gli appelli non si era riusciti a trovare una turbina spazzaneve per liberare il percorso.
Intorno alle 17 un blocco di neve e detriti si staccò dalla montagna alle spalle del resort, una struttura moderna, realizzata a quota 1.200 metri sul versante pescarese del Gran Sasso. L'albergo fu completamente travolto: la slavina ne sfondò le pareti e lo spostò di circa dieci metri verso valle.
A dare l'allarme della valanga, quasi in diretta, fu il cuoco Giampiero Parete, che, chiuso nell'auto fuori dalla hall, vide la valanga abbattersi sull'hotel e riuscì ad avvisare al telefono il suo datore di lavoro Quintino Marcella. Nell'albergo c'erano anche la moglie e i due figli di Parete, tra gli 11 superstiti.
Marcella si attaccò al telefono per chiamare i soccorsi, ma per tanto, troppo tempo nessuno volle credere alle sue parole: la colonna dei soccorsi partì solo tra le 19.30 e le 20.00 e ci vollero ore per raggiungere l'albergo. I primi sopravvissuti vennero trovati solo dopo 30 ore, mentre ci vollero 62 ore per estrarre vivo l'ultimo degli 11 superstiti della tragedia.
"Non lo diciamo noi, ma le carte che ha fatto una telefonata alle ore 11.38, il nostro sconforto è sapere che le vittime potevano essere salvate. Cinque ore - sottolineano i rappresentanti del Comitato delle vittime ricordando che la slavina ha spazzato via l'hotel nel pomeriggio - erano sufficienti. Le vittime potevano essere salvate".
Un altro elemento su cui i familiari chiedono chiarezza è l'uso o meno degli elicotteri: "Sono stati chiamati gli elicotteri per i soccorsi sì o no? E se non sono stati chiamati, perché?", affermano dal Comitato.
"Sappiamo che è un'indagine difficile, ma la colpa della slavina non è stata del terremoto" e delle scosse che si registrarono quel giorno bensì "di gente che non ha fatto bene il suo lavoro". E sul presunto depistaggio, i parenti delle vittime non hanno dubbi: "E' stato possibile perché nessuno è stato subito rimosso dal suo posto di lavoro".
La battaglia dei parenti, oltre ad ottenere la verità, punta a ottenere una "'legge Rigopiano', che prende spunto dalla legge 'Viareggio'", l provvedimento relativo agli indennizzi per i parenti delle 32 vittime della strage alla stazione ferroviaria. "Noi non cerchiamo soldi, ma fondi per combattere ad armi pari contro le istituzioni che hanno preso i migliori legali e per aiutare parenti di vittime, come gli orfani, che non riescono a risollevarsi", continuano Gianluca Tanda, Marcello Martella e Marco Foresta.
Le indagini. Il 17 saranno ascoltati dai pm i 7 indagati per frode processuale
A novembre la procura di Pescara ha chiuso le indagini su quanto accaduto quel drammatico giorno indagando 25 persone. Un fascicolo 'bis' è stato poi aperto per depistaggio e frode processuale, con sette indagati, per fare luce sulla cosiddetta 'telefonata fantasma' che ricostruisce le ore drammatiche dalla mattina del 18 gennaio del 2017, quando Gabriele D'Angelo, cameriere della struttura, spaventato dalle forti scosse di terremoto, chiese l'evacuazione dell'hotel isolato dalla neve.
L'11 gennaio - a tutti e 7 gli indagati sono stati notificati dai carabinieri forestali gli avvisi di garanzia con il contestuale invito a sottoporsi a interrogatorio. La contestazione - come abbiamo ricordato - parla di violazione dell'art. 375 del codice penale: frode processuale e depistaggio, per aver sottratto prove e documenti relativi all'inchiesta che era in corso, richiesti dalla procura attraverso la squadra mobile.
Gli indagati avranno così la possibilità, se accetteranno di sottoporsi all'interrogatorio chiesto dai pm, di fare chiarezza su quanto accaduto nella sala operativa e in quelle drammatiche ore dell'emergenza prima e dopo la tragedia. Per accelerare i tempi i due magistrati si sono divisi gli interrogatori: alcuni degli indagati verranno ascoltati dal procuratore Serpi, altri dal sostituto Papalia, ma tutti il 17 gennaio.