Papa Francesco: Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar. Oltre 200 morti nella repressione
Continua il braccio di ferro tra manifestanti e giunta militare
Sono riprese ancora oggi tra canti, marce e cortei in biciletta le manifestazioni contro il golpe militare in Myanmar, nonostante la repressione che anche ieri ha provocato vittime. Almeno due persone che protestavano sono state uccise dalle forze di sicurezza martedì dopo che la mattinata era trascorsa tranquilla con marce pacifiche che avevano evitato lo scontro con la polizia. Il numero di morti accertati tra i manifestanti dal colpo di stato del primo febbraio che ha spodestato il governo eletto di Aung San Suu Kyi ha ora superato quota 200, secondo le cifre fornite dall'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici (AAPP).
"Le forze della giunta prendono di mira i manifestanti ma anche la gente comune usando fucili di precisione indipendentemente dal tempo e dal luogo", accusa l'organizzazione. "Alcune persone ferite sono state arrestate e sono morte senza ricevere cure mediche, altre sono morte dopo essere state torturate durante gli interrogatori, altre ancora che sono state uccise durante la cariche, trascinate via senza pietà e i loro corpi non sono stati restituiti alle famiglie". L'AAPP, il cui bilancio include solo casi verificati, ha detto che oltre le 202 vittime (numeri aggiornati a martedì 16 marzo), 2.181 persone sono state arrestate o accusate, con 1.862 ancora detenute o ricercate.
Papa Francesco: Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar
"Anche io mi inginocchio sulle strade del Myanmar": Papa Francesco evoca l'immagine della suora che nei giorni scorsi ha bloccato la carica dei militari pronti a intervenire sulla folla che chiedeva democrazia per il paese asiatico, e chiede che "prevalga il dialogo". In Myanmar, ha sottolineato al termine dell'udienza del mercoledì, "molte persone, soprattutto giovani, stanno perdendo la vita per dare speranza al loro Paese". "Anche io", ha proseguito il Pontefice parlando a braccio dopo i saluti in tutte le lingue ai fedeli che seguivano l'udienza in streaming per causa del coronavirus, "stendo le braccia e dico 'cessi la violenza', 'prevalga il dialogo'"."Il sangue non risolve niente, prevalga il dialogo".
Suor Ann si dice grata e sorpresa che il Papa si sia ispirato al suo gesto
Suor Ann, a Fides, ha osservato: "Siamo profondamente grati al Papa perché si ricorda di noi. Conosce il Myanmar, è stato tra noi nel 2017. Siamo confortati e incoraggiati dal fatto che il Papa sostienecon noi la fine di ogni violenza e l'avvio del dialogo. Sono sorpresa dal fatto che, come mi dicono, le sue parole possano essere state ispirate dal mio gesto di inginocchiarmi e stendere le mani al cielo.L'ho fatto con il cuore. Sono i gesti di ogni cristiano che ha a cuore l'umanità".
"Noi soffriamo accanto al nostro popolo. La violenza non si ferma e i feriti aumentano di giorno in giorno. Le cliniche private - ha raccontato ancora la suora - qui nello stato Kachin (nord del Myanmar) sono chiuse per paura dei militari. La nostra piccola clinica è tra le poche strutture aperte, riusciamo a curare i feriti meno gravi, per il resto siamo in seria difficoltà. Alcuni non ce la fanno. Eppure, in questa tribolazione, abbiamo avuto oggi un grande segno di speranza, accanto alle parole del Papa: due donne incinte, ferite leggermente, ricoverate nella nostra clinica, hanno dato alla luce i loro piccoli, un maschietto e una femminuccia".
Il caso delle fabbriche cinesi incendiate nel distretto industriale di Yangon
Pechino ha ordinato l'evacuazione del personale non essenziale delle proprie aziende in Myanmar, dopo che alcune fabbriche cinesi sono state prese di mira nel corso delle proteste di domenica scorsa nel quartiere di Hlaingthaya, la principale area industriale di Yangon che quel giorno è stata teatro di un pesante spargimento di sangue, con più più di 30 manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza. La Commissione di Vigilanza sugli Asset Statali (Sasac) del Consiglio di Stato, il governo cinese, ha ordinato l'evacuazione del personale delle imprese statali coinvolto in progetti fermi in Myanmar, ha riferito il South China Morning Post. L'ambasciata cinese aveva riferito di 32 impianti coinvolti mentre la statale Myanmar News Agency ha parlato di cinque fabbriche incendiate nella zona.
La direttiva riguarda anche chi sia arrivato alla fine del proprio turno di dislocamento nel Paese asiatico, chi non ha ancora ricevuto il vaccino contro il Covid-19, chi vive in aree remote e chi deve affrontare situazioni difficili. Una fonte ha riferito al quotidiano di Hong Kong che le operazioni di evacuazione del personale non essenziale sono già cominciate e che i primi sono già rientrati in Cina. Lunedì Pechino aveva espresso preoccupazione per la sicurezza delle proprie aziende e dei connazionali presenti nel Paese asiatico, dove si sta diffondendo un clima anti-cinese in seguito al golpe del 1 febbraio scorso. La Cina si è apertamente schierata a fianco della giunta militare che ha preso il potere.
Secondo quanto riportato dal tabloid di Pechino Global Times, vicino al governo, gli scontri avrebbero preso di mira 32 aziende cinesi, e due cittadini cinesi sarebbero rimasti feriti; i danni secondo quanto riferito dall'ambasciata cinese in Myanmar ammonterebbero a 240 milioni di yuan (circa 31 milioni di euro). Il Pechino Global Times, citando una serie di imprese statali dislocate in Myanmar, nega per altro l'esistenza dell'ordine di evacuazione riferito dal South China Morning Post. Intanto Pechino esorta i militari a una maggiore risolutezza nella repressione. Il Myanmar dovrebbe prendere misure "più concrete e vigorose" per garantire la sicurezza dei cittadini e delle aziende cinesi, ha detto infatti questa mattina, durante il consueto incontro con la stampa, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian.
Nel frattempo migliaia di persone sono in fuga dal sobborgo industriale di Yangon, portandosi dietro i propri averi in auto o a bordo di mezzi pubblici per cercare di mettersi in salvo allontanandosi da quello che è diventato l'epicentro della rivolta e della repressione violenta. L'esodo da Hlaingthaya è iniziato martedì con le strade intasate dal traffico e il fumo che si levava dagli edifici ancora in fiamme. Le violenze di domenica a Yangon, in gran parte riferibili al pugno di ferro delle forze di polizia, hanno portato la giunta militare a dichiarare la legge marziale in gran parte della città.