Iran. Rinviata l'esecuzione del ricercatore Ahmadreza Djalali
Arrestato nell'aprile del 2016, Djalali è stato condannato a morte da un tribunale iraniano con l'accusa di spionaggio a favore di Israele
Le autorità iraniane hanno posticipato, ma non annullato, l'esecuzione capitale di Ahmadreza Djalali, il medico e ricercatore con doppia nazionalità iraniana e svedese, esperto in medicina dei disastri, che aveva lavorato anche con l'Università del Piemonte Orientale, a Novara. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, citando fonti iraniane, dice che Djalali "non è stato trasferito nel luogo dell'esecuzione". "L'ufficio per l'attuazione delle sentenze ha detto che è arrivato un ordine superiore secondo il quale per i prossimi giorni l'esecuzione è sospesa", riferisce ancora Noury, sottolineando che la mobilitazione per salvare Djalali va avanti.
Anche la moglie del ricercatore iraniano, Vida Mehrannia, ha confermato la notizia appresa dall'avvocato del marito Haleh Mousavian. Arrestato nell'aprile del 2016, Djalali è stato condannato a morte da un tribunale iraniano con l'accusa di spionaggio a favore di Israele. Nelle scorse ore il caso era di nuovo tornato al centro delle cronache, a seguito del suo trasferimento da Evin alla prigione di Rajai Shahr, dove era a rischio imminente di esecuzione.
Trasferimento poi smentito. Secondo Radio Farda, Djalali si trova ancora nel carcere di Evin, a Teheran, e non nella prigione Rajai Shahr, a Karaj, la struttura penitenziaria dove di solito si eseguono le condanne capitali il mercoledì all'alba.
Djalali, 49 anni, era stato arrestato in Iran dove si trovava per partecipare a una conferenza scientifica; l'anno dopo, è stato condannato per "corruzione". Dichiaratosi sempre innocente, ha poi raccontato di essere stato costretto a confessare, sotto tortura, di essere colpevole di "spionaggio" a favore di Israele, un reato attribuito anche ad altri cittadini iraniani con doppia cittadinanza. Secondo Djalali, la sua colpa è stata quella di aver rifiutato di lavorare come spia per le autorità iraniane. Per il suo caso si sono mosse le principali organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, che hanno condannato il processo arbitrario e iniquo a cui è stato sottoposto. Anche l'Ue si è mossa per la sua salvezza, mentre - a quanto si apprende da fonti locali - anche l'ambasciata italiana a Teheran si è unita all'iniziativa diplomatica guidata dalla Svezia per far pressioni sulle autorità iraniane.
La situazione si è complicata dopo l'uccisione, lo scorso 27 novembre vicino Teheran, del capo del programma nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh, in un attentato che per la Repubblica islamica porta la firma di Israele. I difensori dei diritti umani temono che sul caso di Djalali possa consumarsi una "rappresaglia interna".
L'ambasciata iraniana a Roma, in un recente tweet di risposta a un utente, ha messo in relazione i due casi: "Chi ha martirizzato Fakhrizadeh, un grande scienziato, sicuramente si reputa innocente come Djalali, le cui mani sono macchiate del sangue dei suoi connazionali ed è stato condannato per spionaggio in tribunale, con prove sufficienti e quindi deve essere punito. Stop ai doppi standard".
Mantenere alta l'attenzione
"Sono momenti drammatici, ma questa notizia ci fa capire che la pressione degli ultimi giorni ha portato risultati. Ora dobbiamo mantenere alta l'attenzione nelle prossime ore e giorni per cambiare il corso degli eventi", ha detto Luca Ragazzoni, ex collega di Ahmadreza Djalali, commentando la notizia. "Ora abbiamo la certezza che in questo momento più pressione si farà e più ci saranno possibilità di salvare Ahmadreza", spiega Ragazzoni, medico e coordinatore del Centro di ricerca sulla medicina dei disastri di Novara.
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, "sta monitorando da vicino" la situazione. A quanto si apprende il presidente Michel e la sua squadra sono in stretto contatto con diversi soggetti coinvolti nella vicenda al fine di evitare che venga eseguita la condanna a morte. Ciononostante, il presidente avrebbe preferito evitare un richiamo pubblico alle autorità di Teheran perché "comunicare apertamente e pubblicamente non è nell'interesse del signor Djalali e può avere implicazioni negative", ha spiegato un alto funzionario Ue. Bruxelles è contraria alla pena di morte e la considera una punizione crudele e disumana che non agisce da deterrente contro la criminalità. Il presidente avrebbe ribadito questa posizione agli interlocutori iraniani.
Anche la moglie del ricercatore iraniano, Vida Mehrannia, ha confermato la notizia appresa dall'avvocato del marito Haleh Mousavian. Arrestato nell'aprile del 2016, Djalali è stato condannato a morte da un tribunale iraniano con l'accusa di spionaggio a favore di Israele. Nelle scorse ore il caso era di nuovo tornato al centro delle cronache, a seguito del suo trasferimento da Evin alla prigione di Rajai Shahr, dove era a rischio imminente di esecuzione.
Trasferimento poi smentito. Secondo Radio Farda, Djalali si trova ancora nel carcere di Evin, a Teheran, e non nella prigione Rajai Shahr, a Karaj, la struttura penitenziaria dove di solito si eseguono le condanne capitali il mercoledì all'alba.
Djalali, 49 anni, era stato arrestato in Iran dove si trovava per partecipare a una conferenza scientifica; l'anno dopo, è stato condannato per "corruzione". Dichiaratosi sempre innocente, ha poi raccontato di essere stato costretto a confessare, sotto tortura, di essere colpevole di "spionaggio" a favore di Israele, un reato attribuito anche ad altri cittadini iraniani con doppia cittadinanza. Secondo Djalali, la sua colpa è stata quella di aver rifiutato di lavorare come spia per le autorità iraniane. Per il suo caso si sono mosse le principali organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, che hanno condannato il processo arbitrario e iniquo a cui è stato sottoposto. Anche l'Ue si è mossa per la sua salvezza, mentre - a quanto si apprende da fonti locali - anche l'ambasciata italiana a Teheran si è unita all'iniziativa diplomatica guidata dalla Svezia per far pressioni sulle autorità iraniane.
La situazione si è complicata dopo l'uccisione, lo scorso 27 novembre vicino Teheran, del capo del programma nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh, in un attentato che per la Repubblica islamica porta la firma di Israele. I difensori dei diritti umani temono che sul caso di Djalali possa consumarsi una "rappresaglia interna".
L'ambasciata iraniana a Roma, in un recente tweet di risposta a un utente, ha messo in relazione i due casi: "Chi ha martirizzato Fakhrizadeh, un grande scienziato, sicuramente si reputa innocente come Djalali, le cui mani sono macchiate del sangue dei suoi connazionali ed è stato condannato per spionaggio in tribunale, con prove sufficienti e quindi deve essere punito. Stop ai doppi standard".
Mantenere alta l'attenzione
"Sono momenti drammatici, ma questa notizia ci fa capire che la pressione degli ultimi giorni ha portato risultati. Ora dobbiamo mantenere alta l'attenzione nelle prossime ore e giorni per cambiare il corso degli eventi", ha detto Luca Ragazzoni, ex collega di Ahmadreza Djalali, commentando la notizia. "Ora abbiamo la certezza che in questo momento più pressione si farà e più ci saranno possibilità di salvare Ahmadreza", spiega Ragazzoni, medico e coordinatore del Centro di ricerca sulla medicina dei disastri di Novara.
Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, "sta monitorando da vicino" la situazione. A quanto si apprende il presidente Michel e la sua squadra sono in stretto contatto con diversi soggetti coinvolti nella vicenda al fine di evitare che venga eseguita la condanna a morte. Ciononostante, il presidente avrebbe preferito evitare un richiamo pubblico alle autorità di Teheran perché "comunicare apertamente e pubblicamente non è nell'interesse del signor Djalali e può avere implicazioni negative", ha spiegato un alto funzionario Ue. Bruxelles è contraria alla pena di morte e la considera una punizione crudele e disumana che non agisce da deterrente contro la criminalità. Il presidente avrebbe ribadito questa posizione agli interlocutori iraniani.