America Latina, migliaia in piazza per il diritto all'aborto
L'aborto è vietato in El Salvador, Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana e Haiti, e la maggior parte degli altri Paesi lo consente solo per motivi medici o in caso di stupro
Con striscioni che recitano "Aborto legale ora" e "Diritto a decidere" e indossando sciarpe verdi che sono caratteristiche del movimento globale per la depenalizzazione dell'aborto, i manifestanti si sono radunati in El Salvador, Cile, Peru', Messico e Colombia.
In El Salvador, dove l'aborto è sempre vietato, le donne che chiedono la procedura rischiano fino a otto anni di carcere per "omicidio aggravato". Diciassette donne sono attualmente detenute dopo aver avuto emergenze ostetriche, affermano i sostenitori dei diritti delle donne. Così martedì, Giornata internazionale dell'aborto sicuro, centinaia di donne salvadoregne hanno manifestato fuori dal Parlamento nazionale.
Un comitato dei manifestanti ha presentato al Congresso una proposta per legalizzare l'aborto in alcuni casi, come quando la gravidanza mette a rischio la vita della donna, quando è improbabile che il feto sopravviva dopo il parto, oppure se la gravidanza "è il risultato di violenza sessuale". La proposta arriva dopo che il presidente salvadoregno, Nayib Bukele, ha ritirato a metà settembre una riforma costituzionale, redatta dal suo stesso governo, che avrebbe aperto la porta alla legalizzazione degli aborti terapeutici o necessari dal punto di vista medico.
L'aborto è vietato in Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana e Haiti, e la maggior parte degli altri Paesi lo consente solo per motivi medici o in caso di stupro.
Secondo un rapporto del collettivo La Mesa por la Vida y la Salud de las Mujeres, in Colombia dal 2005 circa 205 donne sono state condannate per aborto. Nel Paese l'aborto è legale solo in caso di malformazione del feto, rischio mortale per la madre o a seguito di abusi sessuali. Centinaia di donne si sono radunate fuori dal Congresso a Bogotà per chiedere un aborto libero da questi vincoli.
In Cile, la Camera bassa del Congresso ha approvato martedì un disegno di legge per depenalizzare l'aborto entro le 14 settimane di gravidanza. I legislatori hanno dato il via libera con 75 voti a favore, 68 contrari e due astenuti. La proposta deve ancora essere approvata dal Senato ultraconservatore del Paese.
Il disegno di legge, presentato nel 2018 dai parlamentari dell'opposizione, mira a modificare la legge esistente, che consente l'aborto elettivo solo in tre scenari: quando c'è una minaccia per la vita della donna incinta, se il feto non è in vita o se la gravidanza è stata il risultato di uno stupro. Questi aborti legali rappresentano solo il tre per cento circa delle migliaia di aborti clandestini che avvengono nel Paese, secondo gli attivisti.
Fino al 2017, il Cile ha mantenuto un divieto assoluto sulla procedura ancora negata alla maggior parte delle donne in America Latina dove l'aborto è attualmente legale solo in Uruguay, Cuba, Argentina e Guyana, così come a Città del Messico e in quattro dei 32 Stati del Messico.

Ieri a Città del Messico, decine di donne hanno marciato in centro chiedendo la depenalizzazione della procedura in tutto il Paese. Uno degli striscioni portati dai manifestanti recitava "L'aborto non è legale, lo stupro lo è". La manifestazione ha avuto luogo dopo una sentenza storica della Corte suprema messicana all'inizio di questo mese, che ha dichiarato che l'aborto non può essere considerato un crimine.
La marcia si è conclusa con incidenti provocati, secondo le autorità cittadine, da un gruppo di manifestanti, per un bilancio di almeno 37 feriti fra cui vari agenti di polizia. Lo riferisce la tv 'all news' Milenio. La maggior parte della marcia, ha indicato l'emittente, si è svolta pacificamente ma alcune persone incappucciate, identificate come 'black block', hanno cercato di rimuovere le barriere di protezione del palazzo nazionale. La polizia ha caricato con gas lacrimogeni e sfollagente, mentre i dimostranti lanciavano petardi, pietre e oggetti contundenti. Dei 37 feriti, nove sono civili, un funzionario del ministero dell'interno e 27 agenti donne della polizia, di cui quattro ricoverate in ospedale.
Un'altra protesta si è tenuta a Lima, in Perù. Decine di donne hanno marciato per chiedere al governo peruviano di legalizzare l'aborto, che attualmente è consentito solo quando la vita della donna è in pericolo. "Uno stato che non concede il diritto all'aborto è uno stato femminicida", recitava un altro cartello sorretto da un gruppo di giovani donne. Una richiesta che il nuovo presidente peruviano di sinistra, Pedro Castillo, conservatore sui temi sociali, ha subito respinto durante la sua recente campagna elettorale.