Costumi, gadget e polemiche: "Squid Game" la serie che è diventata un caso
In vista di Halloween su Amazon spopolano i gadget ispirati alla serie distopica sudcoreana che è un successo mondiale. In rete accesi dibattiti sul valore della serie e sul successo tra giovani e adolescenti, ma c'è pure una petizione per sospenderla
di Giovanna Antonelli
Un vero e proprio fenomeno mediatico che dalla Corea del Sud, grazie alla distribuzione sulla piattaforma Netflix, sta entrando con forza nell’immaginario collettivo mondiale. Squid Game, la serie in onda su Netflix da meno di un mese, sta polverizzando ogni record. In soli 29 giorni di programmazione ha raggiunto 111 milioni di spettatori: per fare un esempio una delle serie più viste su Netflix, Bridgerton, si era fermata a 82 milioni di spettatori.
Ma Squid Game è andata oltre: perché la serie distopica prodotta in Corea del Sud (che da noi è arrivata sulla piattaforma in streaming senza nemmeno il doppiaggio in italiano) è già diventata un “caso”.
La storia è piuttosto semplice: un gruppo di disperati pieni di debiti o di problemi con la giustizia accetta di partecipare a un contest segreto. Dovranno affrontare sei semplici giochi da bambini: peccato che chi perde è destinato a morire. L’ultimo rimasto potrà vincere un enorme premio in denaro.
La trama non è nulla di particolarmente originale (basti pensare a tanti episodi di Black Mirror o al celebre Hunger Games) ma ciò che ha reso la serie un culto non è certo il plot. Le scenografie inquietanti, i colori pastello della prigione in cui i contendenti sono rinchiusi, i guardiani dalle facce coperte che scandiscono la vita dei giocatori, le maschere dei vip che assistono ai giochi: mille sfaccettature e una cura maniacale per i particolari sono gli ingredienti che stanno rendendo la serie un fenomeno di costume.
Sarà forse per questo che su Amazon sono sold out i costumi ispirati alla serie e vanno anche forte le formine per fare i biscotti protagoniste di uno de giochi. Senza contare la sveglia a forma di bambola che canta la sua filastrocca “un due tre stella”.
Affidato a una regia sapiente, una volta che il pubblico occidentale riesce a entrare nella “lentezza” tipica dei dialoghi e della cinematografia sudocreana l’effetto è straniante ma anche divertente. E al di là del grottesco, del sangue e dell’angoscia di certe ambientazioni il film porta alla luce tanti temi cari alla cultura sudcoreana. Come già nel premiatissimo “Parasite” (Oscar e Palma d’Oro a Cannes) è anche qui presente il tema della stratificazione delle classi sociali, tanto sentito in Corea del Sud: paese cresciuto economicamente in maniera tanto veloce da creare forti contrasti. E poi anche il tema del gioco d’azzardo, della scommessa: una costante imprescindibile per comprendere i meccanismi della trama.
E come ogni fenomeno mondiale che si rispetti anche Squid Game arriva accompagnato dalle immancabili polemiche. Amplificate dal tam tam dei social, notizie da ogni parte del mondo rimbalzano ovunque: ma il tema è sempre quello. Giusto o no che anche i bambini abbiano accesso alla visione della serie? A prescindere dal fatto che su Netflix il prodotto è vietato ai minori di 14 anni, non c’è dubbio che i bambini possano avere accesso a qualsiasi cosa tramite i loro dispositivi. E che in rete circola parecchio materiale riguardante la serie: foto, video, commenti e quant’altro. Ecco allora che sui social di mezzo mondo rimbalzano notizie di bambini che giocano a “Un due tre stella” e si fanno male, altri che mimano il gesto della pistola contro i compagni eliminati dai giochi, altri ancora che giocano a biglie a campana o al tiro alla fune con fantomatiche regole a eliminazione.
E’ on line persino una petizione per sospendere la serie.
Verifiche dei fatti, pochissime; ma clamore mediatico: tanto. Ora non è dato sapere se il tutto sia parte di una astuta campagna di lancio pubblicitario del prodotto oppure sia un fenomeno che si è autoalimentato visto il successo della serie.
Ma al netto delle ipotesi una cosa è certa: c’è chi sull’onda del successo cerca anche di rimediare un po’ di visibilità. Come un’agenzia immobiliare romana che nei giorni scorsi ha disseminato per strada bigliettini da visita con i simboli del gioco e un numero di telefono. Il biglietto è finito nelle chat scolastiche: creando un panico ingiustificato e dipingendo scenari apocalittici di adescatori e challenge suicide. Nulla di tutto questo: soltanto un’agenzia immobiliare che cercava personale.