Accadde oggi. 12 novembre 2003: la strage di Nassiriya
Nell'attentato morirono 19 italiani: 12 carabinieri, 5 soldati e due civili
L'attentato ai cinque militari in Iraq arriva a due giorni dal sedicesimo anniversario della più grave strage che ha visto coinvolti i nostri soldati dalla Seconda guerra mondiale: l'attentato di Nassiriya, cittadina nel sud dell'Iraq dove l'Italia aveva la base del contingente inviato dopo la guerra a Saddam Hussein. Era il 12 novembre 2003.
16 anni fa a Nassiriya
Il conflitto in Iraq è ufficialmente finito da sei mesi, ma una risoluzione Onu ha invitato tutti gli Stati a contribuire alla rinascita del Paese. Il contributo italiano si concretizza a partire dal 15 luglio in "Antica Babilonia", una missione di peacekeeping con molteplici obiettivi: il mantenimento dell'ordine pubblico, l'addestramento delle forze di polizia del posto, la gestione dell'aeroporto e gli aiuti da portare alla popolazione.
Il Comando dell'Italian Joint Task Force è a 7 chilometri da Nassiriya, nella base "White Horse", non lontana da quella Usa di Tallil. Il Reggimento Msu/Iraq, composto da Carabinieri e polizia militare romena, occupa due postazioni: base "Maestrale" (dove è di stanza l'Unità di Manovra) e base "Libeccio", entrambe poste al centro dell'abitato proprio per mantenere un contatto ravvicinato con la comunità locale. Sono divise da poche centinaia di metri.
Per base "Maestrale", chiamata anche "Animal House", già sede della Camera di Commercio ai tempi di Saddam Hussein, quel 12 novembre sembra una mattina come le altre. Almeno fino a quando sul compound piomba a tutta velocità un camion cisterna blu carico di esplosivo: dai 150 ai 300 chili di tritolo mescolati a liquido infiammabile.
Andrea Filippa, il Carabiniere di guardia all'ingresso, spara e uccide due kamikaze impedendo che il camion esploda all'interno e che le proporzioni della tragedia siano ancora più grandi, ma la deflagrazione, con un terribile effetto domino, fa saltare in aria anche il deposito munizioni e le scene che si presentano agli occhi dei primi soccorritori - i Carabinieri stessi, la nuova polizia irachena e gli abitanti di Nassiriya - sono raccapriccianti.
Un inferno di polvere, fuoco e sangue. Con Andrea Filippa muoiono i colleghi Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi e Alfonso Trincone. Muoiono i militari dell'Esercito Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferrero e Pietro Petrucci, che scortavano la troupe di Stefano Rolla e il cooperatore Marco Beci; muoiono anche Beci e Rolla, impegnato nelle riprese di uno sceneggiato sulla ricostruzione del Paese.
Muoiono anche 9 iracheni. 58 persone restano ferite.
Là dove c'era il parcheggio, si apre un grande cratere.
"Quel cratere è il nostro Ground Zero", commenta il giorno dopo, arrivato sul posto, l'allora ministro della Difesa, Antonio Martino.
L'Italia non dimentica
Lo choc è grandissimo ed è una folla immensa quella che si mette per ore in fila a piazza Venezia per rendere omaggio ai caduti nella camera ardente allestita nel Sacrario delle Bandiere del Vittoriano. I funerali di Stato vengono celebrati il 18 novembre, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, a Roma, con la partecipazione di decine di migliaia di persone: i feretri vengono portati in chiesa scortati dai corazzieri a cavallo in un silenzio irreale. Non c'è palazzo affacciato lungo il percorso del corto funebre che non esponga almeno un tricolore.
La foto simbolo
Nella prima foto della gallery, un soldato si aggiusta l’elmetto, davanti alla base sventrata: è lo scatto simbolo della strage di Nassiriya realizzato dalla fotoreporter Anya Niedringhaus, premio Pulitzer 2005 come giornalista di guerra in Iraq, uccisa in Afghanistan da un talebano con addosso la divisa delle forze di sicurezza governative nel 2014.
Le inchieste
Le ipotesi sulla matrice dell'attentato sono tante: una pista porta ad al Zarqawi e agli estremisti sunniti, un'altra a una cellula terroristica libanese vicina ad Al Qaeda, ma i sospetti convergono sempre e comunque su elementi arrivati da fuori provincia di Dhi-Qar. Si indaga anche su eventuali errori e omissioni nella catena di comando, si cerca di capire se un allarme lanciato dai servizi fosse stato ignorato o meno, ma l'iter giudiziario si dipana per anni.
Sulla strage sono state aperte due inchieste: una su esecutori e mandanti, che ha consentito di individuare tutti i responsabili ma che è stata archiviata perché nessuno era più in vita, e quella sulle presunte carenze delle misure di sicurezza della base Maestrale, che ha coinvolto i comandanti italiani: questi sono stati penalmente assolti, ma il generale Bruno Stano è stato ritenuto civilmente responsabile dalla Cassazione, il 10 settembre scorso, e condannato a risarcire i familiari delle vittime. Assoluzione definitiva per il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, oggi generale e all'epoca responsabile della base "Maestrale": lui tentò di far salire il livello di guardia e di protezione. Restando inascoltato.
L'Iraq oggi
I militari italiani sono oggi in Iraq nel quadro della missione Prima Parthica, che opera nell'ambito dell'operazione internazionale per fornire assistenza e addestramento alle forze irachene che stanano le ultime, mai completamente sopite, realtà del Daesh, l'autoproclamato Califfato. L'Iraq è ancora tutt'altro che pacificato e in queste ultime settimane ci sono manifestazioni antigovernative che sono le più imponenti dal 2003, quando il regime di Saddam Hussein crollò dopo l'intervento militare Usa. I manifestanti e le forze di sicurezza si sono scontrati nel centro della capitale, trasformato in un campo di battaglia saturo di gas lacrimogeni. Da settimane la tensione è altissima, la disobbedienza paralizza strade, infrastrutture petrolifere e amministrazioni; e la protesta si va sempre più canalizzando contro Teheran, percepito come una presenza ingombrante per le continue interferenze nella politica interna.
L'ondata di manifestazioni e violenze, cominciata il 1 ottobre, per chiedere la caduta di un governo considerato corrotto e incompetente, ha causato più di 300 morti. Il movimento di protesta inizialmente è stato innescato dalla richiesta di lavoro e servizi migliori. Ora i manifestanti chiedono anche le dimissioni di tutti i leader politici e un totale rinnovamento del sistema politico nato dopo la caduta del dittatore. Per cercare di placare le proteste, il primo ministro, Adel Abdelmahdi, ha annunciato una serie di riforme, tra cui il dimezzamento del salario degli alti funzionari del governo: sono risorse che si aggiungeranno, ha spiegato, a quelle già approvate dall'esecutivo, che però per ora non hanno disattivato la mobilitazione nelle strade. Abdelmahdi ha ammesso comunque che le manifestazioni sono riuscite a fare pressioni sulle forze politiche e sulle autorità giudiziarie, legislative ed esecutive perché "correggano la strada" e "accettino i cambiamenti".
16 anni fa a Nassiriya
Il conflitto in Iraq è ufficialmente finito da sei mesi, ma una risoluzione Onu ha invitato tutti gli Stati a contribuire alla rinascita del Paese. Il contributo italiano si concretizza a partire dal 15 luglio in "Antica Babilonia", una missione di peacekeeping con molteplici obiettivi: il mantenimento dell'ordine pubblico, l'addestramento delle forze di polizia del posto, la gestione dell'aeroporto e gli aiuti da portare alla popolazione.
Il Comando dell'Italian Joint Task Force è a 7 chilometri da Nassiriya, nella base "White Horse", non lontana da quella Usa di Tallil. Il Reggimento Msu/Iraq, composto da Carabinieri e polizia militare romena, occupa due postazioni: base "Maestrale" (dove è di stanza l'Unità di Manovra) e base "Libeccio", entrambe poste al centro dell'abitato proprio per mantenere un contatto ravvicinato con la comunità locale. Sono divise da poche centinaia di metri.
Per base "Maestrale", chiamata anche "Animal House", già sede della Camera di Commercio ai tempi di Saddam Hussein, quel 12 novembre sembra una mattina come le altre. Almeno fino a quando sul compound piomba a tutta velocità un camion cisterna blu carico di esplosivo: dai 150 ai 300 chili di tritolo mescolati a liquido infiammabile.
Andrea Filippa, il Carabiniere di guardia all'ingresso, spara e uccide due kamikaze impedendo che il camion esploda all'interno e che le proporzioni della tragedia siano ancora più grandi, ma la deflagrazione, con un terribile effetto domino, fa saltare in aria anche il deposito munizioni e le scene che si presentano agli occhi dei primi soccorritori - i Carabinieri stessi, la nuova polizia irachena e gli abitanti di Nassiriya - sono raccapriccianti.
Un inferno di polvere, fuoco e sangue. Con Andrea Filippa muoiono i colleghi Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi e Alfonso Trincone. Muoiono i militari dell'Esercito Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferrero e Pietro Petrucci, che scortavano la troupe di Stefano Rolla e il cooperatore Marco Beci; muoiono anche Beci e Rolla, impegnato nelle riprese di uno sceneggiato sulla ricostruzione del Paese.
Muoiono anche 9 iracheni. 58 persone restano ferite.
Là dove c'era il parcheggio, si apre un grande cratere.
"Quel cratere è il nostro Ground Zero", commenta il giorno dopo, arrivato sul posto, l'allora ministro della Difesa, Antonio Martino.
L'Italia non dimentica
Lo choc è grandissimo ed è una folla immensa quella che si mette per ore in fila a piazza Venezia per rendere omaggio ai caduti nella camera ardente allestita nel Sacrario delle Bandiere del Vittoriano. I funerali di Stato vengono celebrati il 18 novembre, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, a Roma, con la partecipazione di decine di migliaia di persone: i feretri vengono portati in chiesa scortati dai corazzieri a cavallo in un silenzio irreale. Non c'è palazzo affacciato lungo il percorso del corto funebre che non esponga almeno un tricolore.
La foto simbolo
Nella prima foto della gallery, un soldato si aggiusta l’elmetto, davanti alla base sventrata: è lo scatto simbolo della strage di Nassiriya realizzato dalla fotoreporter Anya Niedringhaus, premio Pulitzer 2005 come giornalista di guerra in Iraq, uccisa in Afghanistan da un talebano con addosso la divisa delle forze di sicurezza governative nel 2014.
Le inchieste
Le ipotesi sulla matrice dell'attentato sono tante: una pista porta ad al Zarqawi e agli estremisti sunniti, un'altra a una cellula terroristica libanese vicina ad Al Qaeda, ma i sospetti convergono sempre e comunque su elementi arrivati da fuori provincia di Dhi-Qar. Si indaga anche su eventuali errori e omissioni nella catena di comando, si cerca di capire se un allarme lanciato dai servizi fosse stato ignorato o meno, ma l'iter giudiziario si dipana per anni.
Sulla strage sono state aperte due inchieste: una su esecutori e mandanti, che ha consentito di individuare tutti i responsabili ma che è stata archiviata perché nessuno era più in vita, e quella sulle presunte carenze delle misure di sicurezza della base Maestrale, che ha coinvolto i comandanti italiani: questi sono stati penalmente assolti, ma il generale Bruno Stano è stato ritenuto civilmente responsabile dalla Cassazione, il 10 settembre scorso, e condannato a risarcire i familiari delle vittime. Assoluzione definitiva per il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, oggi generale e all'epoca responsabile della base "Maestrale": lui tentò di far salire il livello di guardia e di protezione. Restando inascoltato.
L'Iraq oggi
I militari italiani sono oggi in Iraq nel quadro della missione Prima Parthica, che opera nell'ambito dell'operazione internazionale per fornire assistenza e addestramento alle forze irachene che stanano le ultime, mai completamente sopite, realtà del Daesh, l'autoproclamato Califfato. L'Iraq è ancora tutt'altro che pacificato e in queste ultime settimane ci sono manifestazioni antigovernative che sono le più imponenti dal 2003, quando il regime di Saddam Hussein crollò dopo l'intervento militare Usa. I manifestanti e le forze di sicurezza si sono scontrati nel centro della capitale, trasformato in un campo di battaglia saturo di gas lacrimogeni. Da settimane la tensione è altissima, la disobbedienza paralizza strade, infrastrutture petrolifere e amministrazioni; e la protesta si va sempre più canalizzando contro Teheran, percepito come una presenza ingombrante per le continue interferenze nella politica interna.
L'ondata di manifestazioni e violenze, cominciata il 1 ottobre, per chiedere la caduta di un governo considerato corrotto e incompetente, ha causato più di 300 morti. Il movimento di protesta inizialmente è stato innescato dalla richiesta di lavoro e servizi migliori. Ora i manifestanti chiedono anche le dimissioni di tutti i leader politici e un totale rinnovamento del sistema politico nato dopo la caduta del dittatore. Per cercare di placare le proteste, il primo ministro, Adel Abdelmahdi, ha annunciato una serie di riforme, tra cui il dimezzamento del salario degli alti funzionari del governo: sono risorse che si aggiungeranno, ha spiegato, a quelle già approvate dall'esecutivo, che però per ora non hanno disattivato la mobilitazione nelle strade. Abdelmahdi ha ammesso comunque che le manifestazioni sono riuscite a fare pressioni sulle forze politiche e sulle autorità giudiziarie, legislative ed esecutive perché "correggano la strada" e "accettino i cambiamenti".