La storia di Rachel Dolezal, l'attivista bianca che si è finta nera
Rachel Dolezal, la leader della comunità afro-americana di Spokane, nello stato di Washington, è finita alla ribalta dopo che i genitori hanno diffuso un certificato di nascita da cui risulterebbe che nelle sue vene non scorre neanche una goccia di sangue africano. La 37enne Dolezal da gennaio è a capo di una sezione della National Association for the Advancement of Coloured People (Naacp), una delle massime organizzazioni a difesa dei diritti delle persone di colore. Il suo nome, negli ultimi anni, è comparso più volte sui media Usa perché vittima, a causa del suo impegno civile, di minacce e intimidazioni. La donna è stata anche difensore civico di Spokane, presiedendo un organismo che vigila sull'operato delle forze di polizia, oltre ad essere docente di Studi africani alla Eastern Washington University. Un curriculum encomiabile, che la accredita come una vera campionessa dei diritti civili.
C'è però un unico, imperdonabile, neo: la Dolezal, almeno da un punto di vista strettamente etnico, non è in realtà la persona che per anni ha voluto
far credere di essere, a quanto hanno detto i genitori. "È la nostra figlia naturale e siamo entrambi di origine europea. Siamo sconcertati, e questa vicenda è molto triste", hanno dichiarato alla stampa. Nella sua domanda di ammissione per il ruolo di difensore civico a Spokane, Rachel Dolezal si è descritta come una donna di "razza mista", con origini, bianche, afroamericane e nativo americane. In realtà sostengono i suoi genitori, Rachel ha origini tedesche, ceche e svedesi, sebbene nell'albero genealogico della famiglia siano rintracciabili anche dei lievi tratti nativo americani. I suoi fratelli adottivi sono afroamericani e Rachel è andata a scuola ed è cresciuta nel Mississippi, dove la famiglia Dolezal viveva in un contesto sociale a maggioranza nera. "È stato dopo il divorzio nel 2004 che Rachel è cambiata. È voluta diventare qualcuno che non è, presentandosi come afroamericana o bi-razza. E questo non è vero", ha detto la madre, accusando la figlia di aver identificato un fratellino nero da loro adottato come figlio. "È vero che è mio fratello, ma ora ne ho io la custodia", ha replicato l'attivista, che ha liquidato la controversia come l'inevitabile corollario di liti familiari.
La vicenda è comunque finita sui giornali. C'è chi grida allo scandalo, ma anche chi la difende. Cedric Bradley, un suo collega alla Naacp, ne ha ricordato l'impegno per le minoranze: "Bianca o nera non importa. Quel che conta è cosa puoi fare per la comunità".