Papa Francesco bacia il tatuaggio sul braccio di Lidia, sopravvissuta di Auschwitz
Si chiama Lidia Maksymowicz la donna alla quale, all'udienza generale, Papa Francesco ha baciato oggi il braccio su cui è tatuato il numero che le fu impresso nel lager di Auschwitz-Birkenau. La donna, di origini bielorusse, fu internata nel campo di concentramento nazista nel 1942, subito separata dalla madre, e sottoposta agli esperimenti del "dottor Mengele"
Quando Lidia Maksymowicz ha scoperto il braccio mostrando il tatuaggio di ex prigioniera del campo di sterminio nazista, Papa Francesco l'ha guardata per qualche istante, poi si è chinato e le ha dato un bacio proprio su quel numero, il "70072" che dopo 76 anni le ricorda quotidianamente l'orrore vissuto.
"Il gesto del santo padre - racconta la donna in un'intervista con Vatican News - mi ha rafforzato e riconciliato con il mondo". "Con Papa Francesco ci siamo capiti con gli occhi, non dovevamo dirci nulla, non c'era bisogno di parole", spiega la donna, una delle ultime superstiti in Europa, oggi residente a Cracovia, che in questi giorni si trova in Italia ospite dell'associazione La Memoria Viva di Castellamonte (Torino) per raccontare ai giovani la sua testimonianza raccolta ora nel docufilm a lei dedicato "La bambina che non sapeva odiare".
"Dopo Giovanni Paolo II, amo Papa Francesco. Seguo le sue cerimonie tramite la tv, prego ogni giorno per lui, gli sono fedele e affezionata", dice. Un incontro, quello con il Papa, che avviene in una giornata speciale: la festa in Polonia della mamma. "Per me una ricorrenza particolare, perché io di mamme ne ho avute due: quella che mi ha dato alla luce, e che mi è stata rubata nel campo di concentramento a 3 anni, e la mamma polacca che mi ha adottato una volta libera e a cui devo la mia salvezza".
Lidia era stata deportata con la mamma, perché sospettata di collaborazionismo con i partigiani. Identificate entrambe nel campo come prigioniere polacche, con la "P" cucita sull'uniforme a righe, la mamma è stata trasferita nella baracca delle lavoratrici, Lidia, invece, in una "casa piena zeppa di bambini di diverse età e nazionalità". Era la baracca in cui operava Josef Mengele che faceva esperimenti con gli essere umani, soprattutto bambini. L'incontro con la mamma naturale si realizzò dopo 17 anni anche se Lidia decise di restare con la famiglia adottiva.
"Io sono stata individuata subito come 'materiale' per il dottor Mengele", ha raccontato la donna nel corso di una testimonianza di alcuni mesi fa in una scuola trentina. "In quella baracca c'erano tanti bambini messi su dei ripiani che fungevano da letti. Prima di arrivare là avevo già vissuto condizioni difficili vivendo nella foresta della Bielorussia. Lì, nella baracca, succedevano cose terrificanti. Un odore terribile, non ci si poteva lavare, tantissimi insetti che riempivano le pareti e tutti noi. Topi e sporco dappertutto".