Come va lo stato di salute del nostro pianeta?
Di Roberto Montoya
La nostra coscienza è in grado ancora di fare ogni giorno piccoli gesti che possono contrastare gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici? Siamo realmente coscienti che in alcune parti del mondo c’è ancora la fame? Siamo consapevoli che stiamo vivendo la più grande crisi migratoria mai vista dopo la seconda guerra mondiale? Siamo al corrente che le emissioni di anidride carbonica sono in continua crescita e quella di oggi la più alta mai registrata negli ultimi 800.000 anni?
In questi giorni abbiano assistito a scenari apocalittici, piogge torrenziali, bombe d’acqua, fiumi che diventano laghi di fango e ponti abbattuti, venti che mettono in allarme rossa l’Italia e che superano i 150 km orari, scuole che chiudono per giorni per mettere in sicurezza i nostri bambini. Insomma cambiamenti climatici, a cui ormai ci stiamo adattando e che vediamo e tocchiamo ogni giorno: dal disboscamento indiscriminato dell’Amazzonia, la perdita della biodiversità, la mancanza d’acqua, i mari contaminati da tonnellate di plastica, fino ad un rapporto di disparità tra la Terra Madre e i suoi abitanti.
Papa Francesco ci ricorda nell’Enciclica Laudato Si quanto sia importante sentirci parte del creato e fermarci a contemplare la bellezza della natura del nostro pianeta. Lui stesso in questa occasione ha proposto un decalogo di consigli concreti per proteggere e curare il nostro ambiente: evitare di accendere i riscaldamenti inutilmente, ridurre il consumo di plastica e carta, ridurre l’uso dell’acqua al nostro bisogno quotidiano, cucinare il necessario per alimentarci, avere cura degli altri, l’uso dei trasporti pubblici, ringraziare Dio prima e dopo i pasti. Gesti pratici, da mettere in pratica ogni giorno che posso cambiare noi e chi ci osserva. Aggiunge Francesco: “I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano come sia possibile costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi”.
Abbiamo incontrato Carlos Laorden, giornalista coautore di una collana di libri sul pianeta (edita Fao/ El Pais.) che spiega le grandi sfide che oggi l’umanità deve affrontare.
Oggi siamo buoni amministratori del bene comune del nostro pianeta?
Abbiamo una serie di sfide che dobbiamo affrontare in questi anni, un conto è parlare dei cambiamenti climatici, fame, acqua, biodiversità che però sono molto interconnessi tra loro e che formano una realtà molto complessa da approcciare. Siamo chiamati ad alimentare una popolazione crescente, esercitando meno pressione sulle risorse naturali: acqua, boschi, suolo, oceani, attenuando il cambio climatico. Tutto questo lo dobbiamo fare in una forma che sia sostenibile nel tempo.
Ma i cambiamenti climatici sono alle porte?
Dobbiamo chiarire un po' di concetti, un conto è contaminare il mare, e un’altra cosa sono le emissioni di anidride carbonica, che produciamo tutti i giorni, come per esempio quando accendiamo la luce delle nostre case, questo genera energia, la stessa cosa vale quando apro il frigorifero. Anche quando mangio un yogurt, tutto il processo che ha subito da quando è stato estratto il latte dalla mucca fino ad arrivare a casa mia ha generato emissioni. Dietro i nostri supermercati pieni di mangiare c’è una produzione sconsiderata di emissioni, si sfruttano ogni giorno risorse naturali per la nostra alimentazione per poi vedere cassonetti pieni di cibo sprecato, questa è la cosa incredibile, anche questo cattivo costume produce un cambiamento climatico.
Come ci dobbiamo comportare?
Dobbiamo preoccuparci di consumare in modo più intelligente, informandoci e cercando di fare delle scelte che contribuiscano nel minor modo possibile ad emissioni nocive. In generale è necessario rendere più verde la nostra economia, favorire le fonti energetiche meno inquinanti, evitare di tagliare alberi mentre si effettua il rimboschimento.È necessario lavorare per le politiche sull’ecologia. Quante volte abbiamo sentito parlare i nostri parlamenti riguardo il cambiamento climatico? È sull’agenda politica? Come cittadini dobbiamo esigere ai nostri politici di fare politiche a favore del pianeta, credo sia un passo e una consapevolezza molto importante. Quindi molto dipende della volontà dei nostri governi, ma dobbiamo chiedere come cittadini che questa volontà sia attuata. I nostri giovani stanno ereditando un pianeta spremuto come un limone.
Perchè il nostro pianeta non riesce a superare la Fame?
Oggi siamo circa 7,500 milioni di persone, produciamo cibo per almeno 9 mila milioni. Grande quantità in Europa finisce nei nostri cassonetti, mentre nei paesi in via di sviluppo il cibo si perde perché la filiera non è adeguata per portare generi alimentari a tutti. Un terzo degli alimenti che produciamo all’anno si perde. Con tutto ciò che si butta in Europa, nelle nostre case, nei ristoranti, come anche negli ospedali, si potrebbe sfamare più 200 milioni di persone. Inoltre sono 821 milioni gli abitanti del nostro pianeta che soffrono la fame, non perché manchi il cibo, ma perché non possono ottenerlo, per conflitti, disastri naturali o semplicemente perché non possono comprarlo.
C’è una migrazione mai vista dopo la seconda guerra mondiale nel vecchio continente. Secondo te a cosa è dovuta?
Sulla migrazione, che è oggi al centro del dibattito politico in Europa, è necessario chiarire le cose ed essere rigorosi: possiamo dire che siamo stati testimoni della peggior crisi di spostamenti forzati dalla II guerra mondiale, ma non solo in Europa, bensì nel mondo intero. Non dimentichiamo che dei circa 70 milioni di persone che hanno dovuto lasciare la propria casa in tutto il mondo, solo 11 sono in Europa. Quanto alla migrazione in generale, la percentuale di persone che lascia il proprio paese per andare a vivere in un altro (non dimentichiamo che questo comprende per esempio gli europei che cambiano il paese di residenza) è aumentata, però dal 1990 si mantiene intorno al 3% della popolazione mondiale. In tal caso, bisogna accettare che la migrazione per cercare un presente e un futuro migliori è un fatto che è avvenuto e che avverrà ancora: Il punto è che questi movimenti devono essere sicuri e a beneficio di tutti.
Quindi cosa non capiamo dell’immigrazione Africana nei nostri paesi?
La prima cosa è che, diversamente dall’idea che abbiamo, tre su quattro africani che emigrano dal loro paese rimangono nel continente. Quindi la realtà è molto diversa da come alcuni ce la stanno raccontando. E’ vero che il numero di arrivi in Europa è aumentato negli ultimi anni, ma per esempio in Spagna nel 2006 c’erano già delle quantità simili, che con la crisi economica sono diminuite. La cosa importante è evitare gli allarmismi e concentrarsi sul fatto che l’immigrazione può essere un’opzione, un’opportunità per tutti e non un obbligo. Che le persone non si vedano obbligate a lasciare la propria casa a causa della violenza, o perché il cambiamento climatico non permette loro di sopravvivere o perché non c’è un futuro possibile nel loro paese. Questa dovrebbe essere la priorità.
Quindi non c’è più pianeta per tutti?
Le proiezioni demografiche mondiali prevedono che per il 2050 il numero di persone superi i 9.000 milioni, in particolar modo in Africa, i paesi ricchi sono preoccupati, molti già parlano di una bomba demografica. Dei nove paesi che rappresentano metà della crescita della popolazione entro il 2050, cinque sono africani (Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Tanzania e Uganda). E altri come Angola, Burundi, Niger, Somalia, Zambia e la stessa Tanzania moltiplicheranno per 5 i numeri di cittadini. Oggi ci sono 1.256 milioni di africani; nel 2050 dovrebbero essere il doppio; cioè, il continente rappresenta quasi la metà della crescita della popolazione mondiale. Il problema è che non guardiamo le cose con prospettiva: questo processo non è una peculiarità africana, ma un ciclo attraverso il quale altri continenti sono passati prima, il caso Cina. E non c’è neppure una tendenza alla stabilizzazione di questa crescita, perché via via che si riduce la mortalità infantile e migliorano le condizioni di vita, la gente smette di avere molti figli. Dall’altro lato, per rispondere alla domanda se c’è un pianeta per tutti, non dovremmo concentrarci tanto sul numero delle persone, bensì sul consumo, sull’impronta che lasciamo sul pianeta. Per esempio le emissioni di carbonio attribuibili a una famiglia del Lussemburgo (meno di 600.000 abitanti) è di 6 volte maggiore della media globale. Invece, l’impatto di una famiglia indiana (1 miliardo e 300 milioni di persone), è solo una quarta parte di questa media mondiale.